Oltre il confine

Con una moto d’epoca inizi a fantasticare e poi qualcosa succede: parti per conoscere un Sertumista di Sanremo e non vai a dare un’occhiata alle Gole del Verdon in Francia?

Un giorno ricevo un’email. Una bellissima sorpresa. Un sertumista ha letto un mio racconto su Motociclimo d’Epoca riguardo un viaggio con Mina e ha chiesto alla figlia di rintracciare un mio contatto su Internet. Wow!
Mariano Pireri vive a Sanremo e ha una Sertum da competizione con ammortizzatore telescopico. Io non ho idea di cosa mi parli, ma mi esalto all’idea di andare a trovarlo con Mina. La verità è che dico così a tutti, che prima o poi arriverò in moto, a 40 km/h. Di questo passo Mina dovrebbe vivere altri 200 anni. Forse più che Mina, il problema sono io.
Gli amici mi prendono in giro per il mio trabiccolo, alcuni lo chiamano bidet, ma anche cesso, cancello: sospetto che siano invidiosi del mio mezzo.

È vero che Mina è un ammasso di ferro, più o meno apprezzabile. Chi la vede può scherzarci su, gli appassionati possono disquisire sull’originalità dei dettagli e, a volte, litigano pure, ma la verità è che le moto d’epoca ci seppelliranno tutti.

Finalmente arriva il momento giusto: ho 10 giorni di ferie. Sui programmi non mi risparmio. L’idea è di passare da Cassano Spinola a trovare le mie cugine, poi attraversare le Langhe e andare a Sanremo. Il confine è vicino: perché non pensare di andare in Francia, magari alle Gole del Verdon? Si dice siano un paradiso per i motociclisti. Sognare non costa niente e il bello delle moto d’epoca è che non smettono mai di funzionare, più o meno, si aggiustano sempre e ripartono. Mentre invece, più spesso è l’essere umano che si ferma. Probabilmente la maggior parte delle persone ha di meglio da fare che andare in giro con una vecchia moto. Ma la cosa peggiore è che spesso gli umani smettono di sognare e nemmeno se ne accorgono. Perché aspettare? Se l’alternativa è stare a casa, meglio partire, con qualsiasi mezzo a disposizione.

Prima di partire

Mi procuro tutto il necessario. Interrogo gli amici su cosa portare, faccio l’elenco e mi attrezzo più del solito, anche con spray per le forature e una camera d’aria di scorta. Prendo anche una nuova visiera, per proteggermi dalla pioggia, ma soprattutto dagli insetti: nonostante la mia lentezza sono dei veri e proprie proiettili. Mina va bene, ma non troppo, ho l’impressione che strattoni, ma non do molta importanza alla cosa. La sera la lavo, perché durante l’ultimo giro un acquazzone l’ha ridotta quasi peggio di me. Copro il magnete ovviamente. Terminato il lavoro, asciugo Mina con uno straccio e provo ad accenderla, ma non ne vuole sapere. Ciccetto ancora, controllo l’aria, magari è ingolfata, chiudo la benzina, scalcio, macché. Ricordo che in un momento di disperazione in passato ho chiamato Chicco Restauri Impossibili perché la moto non si accendeva e mi ha chiesto: “Hai cambiato la candela?” Io “No”. “Ma dai, anche mia mamma sa che è la prima cosa da fare”. Grazie alla mamma di Chicco mi sono ricordata di questa possibilità. Quindi tolgo la candela: è nera e bagnata. Benissimo, per questo viaggio Mina merita una candela nuova: infatti si accende. Sono felice, la metto in garage, l’accarezzo sul serbatoio e spengo la luce. I miei genitori mi stanno aspettando per la cena da un’ora. Che pazienza ci vuole con me.
Durante la notte preparo la borsa: accessori per Mina, poi piastra per i capelli, scarpe per la sera, vestiti e accessori da toilette. Cerco di incastrare tutto. Scrollo la borsa per fare spazio e schiaccio lo spray per le forature, che crea una palla di schiuma tra i vestiti. Addio bomboletta e a un paio di magliette.

Pronta per la partenza!

La mattina mi prometto di partire alle 8,30. Alle 9 passate giro ancora per casa a cercare il giubbino giallo catarifrangente obbligatorio in Francia. La borsa pesa troppo sulla moto e fatico a metterla sul cavalletto. Scartabello per capire cosa posso lasciare a casa. Un maglione, un libro, un rossetto su tre. Sono le 9,30 non posso più giocare a Tetris. Parto e percorro la strada che feci un anno e mezzo prima, in occasione del mio primo viaggio in Piemonte. Avevo impiegato una giornata per arrivare a Bobbio. La moto ai tempi era fuori fase e aveva una pilota incolta e incosciente. Oggi non sono molto diversa, ma posso fare il doppio dei km, se tutto va bene. Prendo strade alternative, contorte, che raggiungono borghi semiabbandonati dell’Appennino, con Chiese arroccate su speroni di rocca.

Passo a salutare Giovanni Perere, ma non lo trovo, forse perché è ora di pranzo. Attacco il Penice, ricordando le sette camice sudate la prima volta che mi sono avventurata su quella strada. Mina ora sale che è una meraviglia, non mi sembra vero. Mi gusto il panorama. A metà salita dei motociclisti mi hanno cenno di andare piano. Mi prendono in giro? Dopo pochi chilometri c’è un incidente. Una moto è coricata in una curva accanto a un muro. Ho i brividi. Chissà cos’è successo. Forse la velocità? Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Manifesto Futurista, diceva a inizio Novecento che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: quella della velocità. Ai tempi era rivoluzionaria e ancora oggi piace a molte persone. Per me è solo una necessità per le esperienze che mi interessano poco. La lentezza è più intensa e intrigante.

Perché correre?
Alla fine il mondo gira intorno a se stesso.

Sul Penice ci sono forse trenta moto tutte moderne. Che gioia guardare la mia Mina e andare da lei per ripartire. Mi sento così fortunata. È stata per più di 40 anni in garage al buio e finalmente è tornata alla luce per illuminare le mie giornate.


Scendo a Varzi, costeggio il torrente Staffora e a Tortona incontro Marcello. Lo trovo in Piazza del Duomo, con una bicicletta Maino da carabiniere del 1929: ha un fanale removibile per le retate notturne e una striscia di vernice bianca sul parafango posteriore per evitare tamponamenti. Racconto a Marcello che Mina strattona da un paio di giorni e non capisco cos’abbia. Smontiamo la candela ed è nera come il carbone. Mettiamo mano alla carburazione. Non io, Marcello ovviamente.

Chi trova un amico,
trova una cassetta degli attrezzi.


Così Mina fila liscia fino a casa delle mie splendide cugine. La serata in famiglia è la mia coccola di fine giornata, perché il primo giorno di viaggio è sempre un po’ stressante: rimanere a piedi sarebbe davvero frustrante.

Mio fratello ed io al matrimonio di Grazia e Gianni, genitori di Valentina e Giuliana.

Come spesso accade sogno Mina: si spegne e non parte più, senza un perché. Il mio inconscio mi mostra le mie paure. Ma mi alzo contenta, sono già al secondo giorno e tutto va bene. Dopo colazione scendo in garage, controllo la candela, è color nocciola.

Parto verso Ovada, Aqui Terme e mi perdo nelle Langhe. Le colline offrono continuamente paesaggi diversi. È il giorno di Pasqua e la strada è tutta per me. Non c’è anima viva. Si sente profumo di grigliata di carne nell’aria ed è così bello guidare che non mi fermo nemmeno per pranzare. Penso ai miei genitori, che mangiano i cappelletti in brodo fatti in casa da mia madre.

Tutti dovremmo avere un giardino segreto. Dove sentirci protetti, dove stare bene, dove nutrire la nostra anima più nascosta. A volte lo troviamo nelle persone o in un luogo che conosciamo. Io l’ho scoperto in un ferro vecchio: Mina.

Raggiungo Murazzano, uno splendido borgo di origine medioevale. Chiedo informazioni al bar per un posto dove dormire. Anche l’edicola è aperta. Il borgo è talmente piccolo che anche a Pasqua non c’è altro da fare che stare in piazza con la bottega aperta. Faccio due passi per pensare. Mi siedo su un gradino all’ingresso di una casa che si affaccia sulle colline circostanti. Un signore esce dalla porta accanto. Iniziamo a parlare. Gli racconto che sono in viaggio con una moto d’epoca. Riflessivo mi guarda e commenta “una donna che viaggia da sola cerca qualcosa di nuovo o ha avuto una delusione”. Rispondo che sono abituata a stare da sola e me ne vado. Lascio Murazzano e scendo pochi chilometri per raggiungere un agriturismo con una vista mozzafiato, tra pianura e colline. La cena non viene servita. Probabilmente sono l’unica persona d’Italia che vuole cenare la domenica di Pasqua. Così mi sposto in moto a Dogliani. Il mio fanale non funziona. Uso la luce di posizione. Non è molto rassicurante. Alle 8,30 sono già tornata nella mia camera. Dalla terrazza le luci in valle sembrano brillare come stelle, sono vive, mentre sento il rumore delle cicale, delle anatre e anche di un cinghiale che scava lì vicino.

La mattina a colazione sono ancora mezza addormentata e un ragazzo mi chiede se è mia la Sertum. “Sì!” rispondo orgogliosa. Mi dice che è meccanico di moto e io lo avviso che non ha fatto bene a dirmelo. Infatti da lì a 15 minuti sono già pronta a disturbarlo. Il giorno prima il filo dell’acceleratore ha fatto le bizze. Mi sono fermata per una foto e all’improvviso il gas è salito senza una spiegazione. Ho mosso il filo sotto il serbatoio per capire se era bloccato. Ma andava per i fatti suoi, finché non si è ristabilizzato da solo e ho dimenticato il problema. Ho il terrore che il filo si possa spezzare. Ne ho uno di scorta, ma non so da dove iniziare a sostituirlo. Luca Caravà controlla la situazione e non la vede drammatica, dice di far cambiare il filo appena possibile, lui non si può intrattenere, è in vacanza con la famiglia.

Traccio una linea retta immaginaria per raggiungere Imperia, voglio fare le stradine secondarie, più corte e anche più lente. Costeggio il fiume Tanaro, mi guardo attorno, le montagne del cuneese sullo sfondo sono innevate, non molto lontano svetta Mondovì. Penso a quanto sia tutto stupendo, quando a un tratto Mina fa un rumore brusco e un “cla cla cla…”. Ho paura si incastri qualcosa nella ruota, tiro la frizione e Mina si spegne. Il rumore cessa e un silenzio assordante mi accompagna in una dolce discesa, mentre penso “La mia vacanza finisce qui”. Mi fermo davanti a una vecchia pesa, ampliata da un dehors, perché oggi un bar. Ci sono un sacco di giovani che prendono l’aperitivo prima del gran pranzo di Pasquetta. Chiamo l’amico Carlo, che mi è vicino a distanza, e intanto dei ragazzi vi avvicinano, uno è un meccanico di auto. Mi attacco a lui come una zecca per chiedere informazioni. Controlliamo l’olio, la compressione e giriamo attorno alla moto pensando a cosa possa essere successo. Mi dice di mettere in moto. Mina si accende. Faccio qualche metro nel parcheggio. Tutto a posto. Va beh, devo essere sembrata pazza, più di quanto non sembri con un mezzo così vecchio e conciato.
A quel punto decido di fare la strada suggerita dal navigatore, sicuramente più scontata, ma anche più veloce e frequentata. Quando Mina ha fatto quel rumore strano avrei dovuto prendere una deviazione, proprio lì, accanto al bar. Penso che Mina non volesse fare quella strada.

Scendendo verso Garessio incontro un bellissimo murales di vespiti d’epoca. Verso il Passo Tana l’aria si fa sempre più pungente, le montagne coperte di neve sono vicine, il cielo si fa grigio. Svalico in Liguria, la strada è a strapiombo sulla vallata sottostante. Qualche tornante e dai pini si passa agli ulivi. L’aria profuma di agrumi e gelsomino. Qualche paesino è arroccato tra i boschi. In Liguria le abitazioni sono terrazzate come le coltivazioni. Sono a pochi chilometri da Imperia e inizia piovigginare, acqua e sabbia. Mi fermo a mettere la tuta e un uomo pensa di rassicurarmi dicendo che ci sono delle gallerie per arrivare ad Imperia, ma non sa che sono senza fanale. Fortunatamente arrivo a Imperia indenne, mi immetto sull’Aurelia e continuo verso Sanremo. La strada è trafficata e a metà percorso un miraggio: una Sertum 250 VL del 1949 conservata, una sorella di Mina. È Mariano!

Al porto di Sanremo

Quando sono scortata la strada è più bella, anche sotto la pioggia. Arrivati entriamo nel garage di Mariano e vedo la sua Sertum 250 VT del 1946 da competizione. Ha ruote da 21 pollici e un motore strano, che non risulta in nessun documento storico. Si direbbe un prototipo. Ha delle foto d’epoca che provano l’esistenza di quell’ammortizzatore telescopico già ai tempi della Milano Sanremo nel 1949.

Anche la sella è molto particolare, marchiata “Brevetto Arcione per Sertum”. Mariano non si definisce un meccanico esperto, ma il suo garage ha tutto: moto, utensili e cimeli di ogni tipo. Ci tengo tantissimo a fare qualche foto ricordo e dico ingenuamente a Mariano che mi piacerebbe fare una foto con le moto di fronte al simbolo di Sanremo: il Teatro Ariston. Lui prende il telefono e chiama il comando della Polizia Municipale, chiede di avere il permesso di entrare in Corso Matteotti con due moto d’epoca e di avere due vigili a disposizione. Cinque minuti e siamo lì. I vigili ci aprono il varco tra la gente che passeggia tranquilla nella via pedonale. Posizioniamo le moto per lo scatto: una calca di gente si ferma a guardare e a fare domande. Mina e la sorella sono due dive fuori dal tempo.

La sera Mariano e la moglie Vita mi invitano a cena in una tipica osteria sanremese: da urlo.

Il giorno seguente il tempo è impietoso, piove, ma non di dispiace. È un’occasione per capire come funziona l’impianto elettrico. Apro il mio fanale e quella del 250 VL di Mariano. Li confronto, stacco due fili dal mio e faccio delle prove, ma un certo punto esce del fumo dal fanale e rimetto tutto a posto, credo.


L’impianto elettrico non funziona
e qualcosa si spegne dentro di me.

Sono triste. Ma poi ripenso a quanti chilometri ha fatto Mina e a quanto è limitato il problema, considerando la complessità della moto e la sua capacità di esistere e resistere, nella sua interezza, per il suo obiettivo: viaggiare. Le luci sono importanti, ti permettono di vedere dove stai andando e di segnalare la tua presenza, la tua vita in strada. Devo cercare un aiuto. E Mariano si prende a cuore il caso. Prima di occuparcene abbiamo un appuntamento ad Alberga, presso la sede di Ruote d’Epoca Riviera dei Fiori, il Club con più iscritti di tutta Italia. All’arrivo ci accolgono il Presidente Augusto Zerbone, l’esperto Porsche Bons e lo staff del Club.

Mi sento a casa, vorrei parlare dei miei progetti per ore, ma sono molto preoccupata. Mina deve tornare ad avere la sua luce. Mariano mi porta dal suo amico Aldo Giribaldi. È un meccanico in pensione, che vive ancora in officina ed è un appassionato di mezzi d’epoca. Aldo guarda Mina e sa subito dove mettere le mani. Controlla la dinamo, poi la batteria e per ultimo l’impianto del fanale. Sistema i fili e Mina si illumina.
Il tempo di caricare la batteria e Aldo ci porta a vedere la sua ampia collezione di moto e Vespa.  

L’indomani vado a ritirare Mina. Piove ancora tutto il giorno, sistemo la moto in garage da Mariano mentre la giornata scorre via. Mariano mi mostra la documentazione che ha accumulato e un garage mezzi e oggetti per lo più arrugginiti: un paradiso. Verso sera smette di piovere e con la scusa di provare il fanale, vado a visitare Bussana Vecchia, un borgo medioevale mezzo diroccato e fatiscente, con un fascino indescrivibile. Nel 1887 un violento terremoto colpì l’entroterra sanremese danneggiando gravemente Bussana Vecchia. Il paese venne abbandonato. Dagli anni Sessanta il paese è stato riportato alla vita da artisti provenienti da tutto il mondo.

Dopo due giorni di acqua, posso ripartire. Sanremo si è fatta comunque amare, è stato l’occasione per conoscere meglio un sertumista doc, che ama questa marca anche perché poco apprezzata dalla massa. Grazie a lui ho trovato nuovi amici e ho capito che la passione unisce, anche dove sembrerebbe improbabile. Abbraccio lui e Aldo, e torno sulla mia strada.

Mi dirigo verso la Francia passando da Ospedaletti: ne ho sentito talmente tanto parlare che mi sembra di conoscere le sue strade. Quando attraverso un incrocio lo immagino nel 1947 pieno di pubblico e attrezzato di protezioni di fieno. Arrivo al confine tra Italia e Francia: è inesistente. Eppure da una parte all’altra si parlano due lingue diverse. Se prendessi la strada più breve per tornare a casa avrei solo 350 km. Eppure mi sento distante almeno il doppio. È impressionante quanto l’ambiente influenzi le nostre percezioni.

Sono in Francia con Mina, potrei dire in giro per l’Europa. Pazzesco!
Costeggio la Costa Azzurra e imponenti montagne affacciate sul mare.

Mina in Costa Azzurra.

La prima sosta è a Roquebrune, vado a trovare il mio amico André, detto Dedé.
Mi invita a prendere un caffè, ma io insisto a fare un giro in moto. Quindi andiamo nel suo garage e sceglie una BSA B21 De Luxe 250 cc, del 1930. Mina ha ancora qualche problemino al filo dell’acceleratore. Rimane su di giri e chiedo a Dedé se controlla la situazione. Non può dirmi di no. La circostanza in cui ci siamo conosciuti lo fa sentire forse in debito: due anni prima ero sotto casa nel parmense, stavo spingendo Mina perché mi aveva lasciata a piedi, e lui è passato e non si è degnato di fermarsi! Dice di non aver visto la moto d’epoca. Di me non si sarebbe mai preoccupato evidentemente. Ne abbiamo parlato il giorno dopo quando ci siamo conosciuti ufficialmente.

Andiamo nella sua officina, che sembra una piccolissima e rifornitissima sala operatoria. Tutto è al posto giusto. Mina sale sul banco elevato. Da lì non si schioda per tutto il pomeriggio. Da un semplice filo dell’acceleratore sbucano problemi uno dietro l’altro. Troviamo rotta la molla del carburatore. Poi la manopola dell’acceleratore si blocca. Io sono desolata, sto facendo perdere tutta la giornata a Dedé. Al tempo stesso ho anche paura che mi mandi a quel paese o nel mio Paese. Lui mi guarda e dice “La spunteremo, vedrai”. Smonta e rimonta il carburatore e la manopola non so quante volte. Ho davvero una grandissima ammirazione per chi ha questa incessante determinazione. Può scappare qualche parolaccia, in italiano, in francese, ma certe persone non mollano mai. Ne ho visto un altro motociclista in azione, Roberto Rocchiccioli, quella volta che ho fatto il pieno con il gasolio anziché la benzina. Grande errore che mi ha fatto patire ogni secondo della rimessa in ordine del mezzo. Ma soprattutto ha messo alla prova la pazienza di Roberto. Ha pulito il serbatoio, carburatore e candela con una tanica di benzina e anche dell’alcool chiesto in prestito a un albergatore. Erano le 9 di sera, ha impiegato due ore, con il rischio di rimanere senza cena, eppure non voleva saperne di fare una pausa. C’erano altre 3 persone con noi, che hanno assistito con compassione e pazienza. La moto doveva tornare a funzionare. Individui come questi non smettono mai di credere nel proprio obiettivo: l’uomo deve vincere sulla macchina. Ho davvero tutto da imparare, non solo sulla meccanica, ma anche sulla solidità del carattere.
Dedé vuole completare il lavoro, mi vede disperata e mi consola dicendo che queste cose accadono e ovviamente giunge al traguardo: Mina sembra nuova. Il giro insieme è andato a farsi benedire e io benedico Dedé.

Mina sul circuito di Montecarlo.

Montecarlo mi aspetta. Entro in città e mi trovo con il mio mezzo del 1950 sul circuito del Grand Prix nel 2019, allestito per la prossima corsa di Formula 1. In questa pista immersa tra i grattacieli hanno corso anche le moto, una sola volta, nel 1948. Ecco qui il racconto.

Arrivo a Cannes, dove mi trovo con la mia amica Cristina, che mi ospita a casa sua. Desidero tanto un aperitivo sulla Croisette, ma prima devo pensare a Mina, a un posto chiuso e sicuro dove metterla. Ma gli unici garage disponibili non sono affatto sicuri: sono quelli a più piani, chiusi solo da una sbarra e videosorvegliati, ma da chi? Nessuno risponde di danni e furti, sono parcheggi inutili. Quindi a rotazione sfinisco le seguenti persone: un ristoratore del centro, la mia amica Cristina, il receptionist dell’hotel più lussuoso di Cannes, la mia amica Cristina, gli agenti della polizia municipale, Cristina, alcuni passanti italiani che si fermano ad ammirare la moto. Niente da fare, a Cannes non esiste un parcheggio sicuro, come merita un rottame il cui valore è mediocre per alcuni e incalcolabile per me. Nessuno conosce nessuno che mi possa aiutare. Sono incredula e disperata. Alle 22 non ho ancora una soluzione e parcheggio la moto davanti al ristorante della cena. In quell’occasione conosco Luciano Pagliaroli, ex campione italiano della classe 50 Junior 1980. Nemmeno lui sa cosa fare.

È mezzanotte. Decido di mettere Mina nel cortile di casa di Cristina, non chiuso a chiave. Copro la moto con un lenzuolo e saliamo in casa e nella doccia ci sono 3 pulcini. Ho allucinazioni? No, sono: uno giallo, uno rosso e uno nero, di nome “Pul” “Ci” “No”. Sono stati regalati a Gioele, il figlio di Cristina, al ristorante, il giorno di Pasqua. Andranno a Milano, poi chissà. Nel mezzo della notte mi sveglio e sento piovere forte. La mia dolce Mina è sotto l’acqua. Ma poco posso fare. Penso al magnete. Spero che il lenzuolo la protegga. Mi riaddormento, ma più tardi sobbalzo, sotto casa si accende un motore a quattro tempi. È Mina, me la stanno portando via! Scatto giù dal letto per affacciarmi alla finestra e vedo un motocarro: è quello del fruttivendolo del mercato, che alle 5 sta portando la merce sul suo banco. Tiro un sospiro di sollievo e torno sotto le lenzuola con il batticuore dallo spavento.

Mina dopo una nottata sotto l’acqua.

La mattina c’è il sole e Mina è al suo posto. Con Cristina e Gioele facciamo colazione con tutta calma.
Grasse, la città dei profumi della Provenza, è poco distante. È una giornata meravigliosa, il cielo è blu e ci sono delle nuvolette bianche che sembrano disegnate. La vista sul mare in lontananza è meravigliosa e dietro di me ci sono le montagne che portano alle Gole del Verdon. Non mi sembra vero, potrei arrivarci in giornata, mancano solo 90 km. Una passeggiata. Parto.

Mina a sgassare nella città dei profumi Grasse.

La strada sale sale sale. Spero di svalicare prima o poi, ma la strada continua a salire. Mina resiste. È una macchina straordinaria. Sul percorso ci sono pochissime auto, pochi centri abitati. Sono a mio agio, mi rendo conto di essere una vera pilota da strada deserta. Raggiungo un altopiano e c’è una massa di nuvole nere sulle montagne verso il Verdon. Le previsioni danno il sole. Eppure, quelle nuvole sembrano tutt’altro che passeggere, sono troppo dilatate e piuttosto arrabbiate. In alcuni punti si vede la pioggia sospesa in cielo, spostata dal vento. Mi chiedo se mi sto infilando in un pasticcio. Ma sono così vicina alla destinazione che sognavo prima della partenza, che mi concentro sul sole sopra di me, e non sulle gocce d’acqua mi raggiungono e mi bagnano i vestiti.

Verso il Verdon.

Mi fermo a mettere la tuta e riconsulto previsioni e distanza. Proseguo e mi infilo sotto le nubi. Il sole scompare e la pioggia si fa copiosa. Penso “Nella vita ci sono momenti in cui bisogna saper rinunciare”. Le Gole del Verdon sono forse più una mia follia, che un sogno. Il destino vuole forse che cambi rotta.

A volte nella vita ci arrivano dei segnali così forti e chiari, che ci indicano il percorso da prendere.
Ma altrettante volte li ignoriamo. Almeno io.
Eppure sono così evidenti. Ma faccio finta di non vederli. Come stavolta e tante altre.
I nuvoloni neri sono una realtà e non sono certo lì per rendermi la vita semplice, anzi.

C’è un distributore di benzina, faccio il pieno e non sono capace di tornare indietro, è più forte di me. Penso “posso resistere”. La pioggia si intensifica. Diventa fin pungente, mi colpisce sul volto come schegge di ghiaccio. A un certo punto penso addirittura che grandini. Aumenta il vento e mi rannicchio dentro la tuta. Mani e piedi sono scoperti, si bagnano, si inzuppano guanti e anfibi. E congelano mani e piedi. E pensare che potevo mettere il costume e andare in spiaggia a prendere il sole con Cristina e Gioele. Sono proprio una testarda. Soffro e mi aggrappo a Mina, che non dà cenni di sofferenza: se resiste lei, non posso cedere io! Incontro un altro distributore di benzina. Mi metto al riparo e mi scuoto per far cadere l’acqua. Cerco di scaldarmi le mani, ho i brividi e a quel punto il cielo lascia intravedere un raggio di sole. Sorrido e guardo Mina. Mancano 30 km a Palud Sur Verdon. Il tempo sembra dare tregua e nel tragitto si asciugano gli anfibi ai piedi e parzialmente i guanti e le mani. L’hotel è accogliente, fuori fa freddo e faccio una doccia bollente di 15 minuti.

Penso a quei piloti che non avevano certo l’acqua calda ad aspettarli. Probabilmente nemmeno un materasso con piumino d’oca e lenzuola pulite. O una giacca trapuntata e la tuta anti-acqua.
Quanto doveva essere dura. Non mi dovrei lamentare. E pensare che sono addirittura in vacanza!
Se domani il tempo sarà brutto mi stramaledirò. Se invece ci sarà il sole probabilmente la tortura di oggi è valsa la pena.
Durante la notte mi sveglio e sento piovere. Non ci voglio credere.

L’orologio Buren di mio nonno.

La mattina mi alzo e c’è il sole.
I guanti sono ancora bagnati. La temperatura è frizzante. Finalmente posso ammirare le Gole del Verdon. Chi l’avrebbe mai detto che sarei arrivata fino a qui con Mina? La mia amica Clara dice che ha fatto tutta questa strada perché le do fiducia. In effetti, se la merita tutta.
Percorro l’anello che costeggia le Gole sul lato destro e incontro solo pulmini di arrampicatori. Quelli sono più matti di Mina e me: appesi a un filo, con strapiombi di 700 metri di vuoto.

Lo scenario è davvero imponente e gli strapiombi drammatici. Terminato il circuito ad anello, cosa faccio? Torno in Riviera al caldo oppure punto verso il confine sulle Alpi? Preferisco il gelo al traffico. Il tratto verso il lago di Sainte Croix è magnifico. Poi entro nel vivo della Provenza, tra i campi di lavanda, non ancora in fiore, ma verdi e rigogliosi, finché passo accanto a degli impianti sciistici.

Certo, sono chiusi, ma mi rendo conto di essere salita d’altitudine. Mi fermo in un bar a mettere tutto quello che ho: tre maglie di lana, due maglioni, giacca trapuntata e i leggings che uso come pigiama. All’interno c’è n gruppo di francesi, tutti uomini, particolarmente rumorosi e un forte odore di anice, suppongo si tratti di Pastis.

Si viaggia decisamente meglio, mi godo il panorama montano e le cime innevate verso Barcellonette. Ma a 6 km dall’arrivo, Mina perde dei colpi. L’acceleratore va a vuoto. Mi fermo. Tiene il minimo ma non parte, si spegne. No panic. Chiamo Stefano e mi dà assistenza telefonica. In quel momento si ferma un francese, Michel, con una Lancia Fulvia Sport Zagato. Mi guarda mentre smonto il carburatore per pulirlo e ride. Poi capisce che faccio sul serio e prende la sua borsa piena di attrezzi. Quando smonto il getto mi accorgo che lo spillo è spezzato. Dramma. E ora? Coltivo l’illusione di poter trovare uno spillo nuovo. Niente da fare, non mi resta che affidarmi al meccanico di moto di Barcellonette, che mi viene a prendere in furgone. Arriviamo in officina, toglie la capocchia di spillo incastrata e rimonta lo spillo, nell’ultima tacca, l’unica rimasta. Chiude il carburatore e Mina funziona, sono felice!!! Il meccanico si avvicina alla cassa e mi farfuglia qualcosa. Non capisco e gli chiedo di ripetere. Il giovane assistente meccanico, che è girato di spalle, si mette a ridere. Il meccanico riformula la frase e ora capisco chiaramente che mi sta invitando a dormire a casa sua. Per carità, voglio pagare il conto e andare in hotel. Mi chiede 70 euro per 6 km in furgone, più 20 euro per 5 minuti di tempo a montare lo spillo rotto di un carburatore già smontato. Non mi fa nemmeno la ricevuta. Trovo un hotel carino nel centro di Barcellonette, ma anche qui mi propongono di pagare senza ricevuta. E poi si parla male degli Italiani. Affermo che mi piacciono solo i francesi appassionati di mezzi d’epoca.

Lancia Fulvia Sport Zagato di Michel, che mi vede in panne e mi soccorre.

Certo che i croissant francesi sanno far perdonare tutto. Il Colle della Maddalena mi aspetta. Scottata dalla pioggia gelida del Verdon, sono terrorizzata dal trovarmi in una bufera di neve sul passo alpino. Chiamo un amico soccorritore alpino del cuneese: Fabio mi rassicura che il tempo sarà buono. In effetti un sole meraviglioso fa luccicare la neve sui monti e a bordo strada. Le mie mani iniziano a congelare, perdo la sensibilità alle dita e fatico a muovere le leve. La temperatura è tra 0 e 2° C. Potrebbe andare peggio e nevicare.

Mina pare non aver problemi al carburatore e arriva in formissima a 2.000 metri.

Sul valico una marmotta ci attraversa la strada. In direzione Italia la vista è magnifica, si vedono solo montagne innevate. Da qui in avanti il viaggio è in discesa.

Vista dell’Italia dal confine francese.

A pochi km Argentera è deserta. Mi fermo nel paese successivo, a Bersezio, in un piccolo bar che noleggia mountain bike e sci da freeride. Appena entrata vado a sbrinare le mani sulla stufa. Alessandro, il ragazzo dietro al bancone, mi prepara un tè caldo. È incuriosito da Mina. Anche lui è un motociclista, un globetrotter e appassionato di libertà e sport di montagna. Mi racconta alcune delle sue avventure ed è così gentile da offrirmi il tè. Deve avermi vista disperatamente infreddolita. Sono felice di essere di nuovo in Italia. Io amo il nostro Paese, più di qualsiasi altro, in più ha dato vita a Mina.

Al bar Base Prati del Vallone, a Bersezio.

Alessandro mi suggerisce di prendere la vecchia strada militare fino a Borgo San Dalmazzo, vicino a Cuneo.
La strada è perfetta, stretta, tra i campi, accanto ai boschi, deserta. Mi riempie di pace.
A Novello mi aspetta Fabio. È in giro con i suoi amici harleysti, pranziamo insieme, poi torno in sella per perdermi nelle Langhe: sento di non averle vissute abbastanza.

Mi trovo di nuovo a Murazzano. Mi fa un effetto strano: dovrei essere contenta, ma penso anche che il meglio del viaggio sia passato. Trovo un agriturismo per la notte torno a Dogliani a cena. Questa volta mi faccio accompagnare in auto dal custode del b&b per permettermi un buon bicchiere di vino piemontese al Torchio, locale delizioso.

È ora di ripartire. Salgo e scendo le Langhe, sono un parco giochi, non voglio più scendere. Oggi la mia direzione è Castiglione Torinese, da Stefano. L’imprevedibile si direbbe oramai concluso.

Mi godo per qualche ora le Langhe, salgo e scendo le colline, sono un luna park. Supero Alba e mi dirigo verso Torino. Stefano mi viene incontro, sistemiamo Mina nella sua officina e la sottoscritta in un b&b da favola.

L’appuntamento è in officina. Stefano si prende cura del carburatore di Mina: cambiamo lo spillo e sistemiamo la carburazione. Finito il lavoro propongo a Stefano un giro, ma anche la sua Giacomasso ha bisogno di una rivisitazione al carburatore. Dopo una giornata così, vorrei dire che i carburatori non hanno più segreti, e invece.

Arrivata a Biella parcheggio la Mina nel garage di Luca, un caro amico conosciuto nell’estate precedete durante la manifestazione di eleganza a Saint Jean Cup Martin. Era vestito d’epoca insieme al padre. Due personaggi davvero di classe. Luca ama auto, moto e anche calessi d’epoca. Più mobili e chissà cos’altro. Mina rimarrà da lui per un paio di giorni, mentre io dovrò tornare a Milano. Nel weekend ci aspetta una manifestazione organizzata da un gruppo di morinisti. Cosa centreremo la mia moto ed io non lo so. Di sicuro sarà un’altra favolosa esperienza in sella alla mia Mina vagante: ecco il resoconto.

Prossima destinazione Biella. Stefano mi fa strada con la sua Giacomasso, detta Giacomino, del 1934, modello 10, di Moncalieri vicino a Torino. È una moto assemblata intorno a un telaio e a una carrozzeria fatti da Giacomasso, ma con motore Matchless, cambio Burman, impianto elettrico Bosch e freni Omac, un’azienda di Bologna.  

La strada è lineare e in quella monotonia i miei occhi si riempiono di lacrime. Piango. Le lacrime volano via. Insieme alla moto si muovono i miei sentimenti: a volte provo gioia, gratitudine e rido anche senza motivo. Altre volte salgo in sella e la tristezza non passa. E allora piango. Mina permette alle mie emozioni di scorrere e di esprimere pienamente quello che sento. E oggi il mio cuore è così. Il mio viaggio sta terminando, dovrei sentirmi soddisfatta, orgogliosa: invece mi sento triste, per qualcosa che sta per svanire, anzi, che è già alle mie spalle e non sarà mai più lo stesso. Potrà tornare, ma non nello stesso modo. Sarà diverso, ma chissà quando e come.

Penso che sono innamorata di un oggetto inanimato. È follia. Realizzo che è come se stessi vivendo una relazione univoca, non ricambiata e me ne accorgo solo ora. Perché questa tristezza la sto sentendo solo io, non l’altra mia metà, con cui ho vissuto l’avventura, la mia moto. Mi sento svuotata, scarica di energia, mi manca la condivisione di un’emozione. Mina continua ad andare, come se niente fosse. È quasi frustrante. Ma se invece ripenso a quello che mi ha regalato, lo sforzo che ha fatto, quanto mi ha sopportata, sempre pronta a rispondere alle mie richieste, a non deludermi mai. Mi ha fatto provare la felicità, mi ha fatto conoscere luoghi e persone. Mi ha trasportata come sa e può fare solo lei. Gliene sarò grata per tutta la vita. È unica e insostituibile. Forse un’anima ce l’ha ed è in pena come me, perché va e non sa dove stare.


L’itinerario – 1.318 km

Giorno 1 – Da Calestano (PR) a Cassano Spinola (AL) – 201 km
Giorno 2 – Da Cassano Spinola a Dogliani (CN) – 133 km
Giorno 3 – Da Dogliani a Sanremo (IM) – 175 km
Giorno 4 e 5 – Sanremo
Giorno 6 – Da Sanremo a Cannes (Francia) – 94 km
Giorno 7 – Da Cannes a La Palud sur Verdon (Francia) – 110 km
Giorno 8 – Da La Palud sur Verdon a Barcelonette (Francia) – 170 km
Giorno 9 – Da Barcelonette a Farigliano (CN) – 210 km
Giorno 10 – Da Farigliano a Castiglione Torinese (TO) – 132 km
Giorno 11 – Castiglione Torinese
Giorno 12 – Da Castiglione Torinese a Biella – 93 km