Gianfranco Falcetti
La scintilla tra Albizzate e Nomi
Mina mi ha insegnato che ogni motocicletta d’epoca ha trasportato delle emozioni che non devono essere dimenticate. Per questo mi porta in giro: per andare a caccia di storie di persone che hanno vissuto con passione, coraggio, senso della libertà, una scintilla che va ben al di là del proprio motore.
La Storia, quella vera, nasce da avvenimenti semplici, custoditi nel cuore delle persone. In più le fotografie, quelle in bianco e nero e seppiate, rendono tutto ancora più sincero e indelebile.
Ma tornando alle Sliding Doors, esiste una motocicletta che ha determinato il senso di esistenza di un grande motociclista e non solo. Questa storia ci racconta di un uomo sempre in sella alla sua tanto desiderata, quanto vissuta, moto Guzzi Astore.
Gianfranco Falcetti, nato ad Albizzate in provincia di Varese nel 1933, è forgiatore e fucinatore a Sorbiate Arno. Questo mestiere richiede uno sforzo fisico immenso. Eppure Gianfranco, con somma eleganza, dice che il maglio è la sua penna stilografica.
Nel 1956 vuole comprare da un conoscente un’Astore usato di 4 anni. Il tizio si è appena sposato e se ne vuole liberare, perché la moglie è incinta e il mezzo non è certo adatto a una famiglia. La moto è molto costosa. La spesa è paragonabile a un monolocale a Milano. Gianfranco ne parla con il padre e i fratelli, ma alla fine si impegna a comprarla per conto proprio, accollandosi tutta la spesa, facendo degli straordinari al lavoro.
Dal momento in cui la porta a casa, la sua moto diventa sacra. Chiunque può salire, ma solo sulla sella posteriore. Usa la moto per andare ogni giorno al lavoro, per fare le commissioni quotidiane, per andare in vacanza.
In Trentino, nasce Maria Paola nel 1932. A soli 10 anni rimane orfana della madre, che si ammala di broncopolmonite. I dottori sono tutti al fronte e nessuno sa curarla. Maria Paola cresce a Nomi, a 6 km a nord di Rovereto, con il padre, il fratello e quattro sorelle. Suo padre possiede una Sertum nera e cromata, il fratello ha una Guzzi Lodola e chissà quante moto passano nel cortile della casa patriarcale.
A 24 anni va in vacanza con le amiche a Cesenatico. È il 1957. Si affaccia alla finestra della casa in affitto e vede due uomini tutti bardati da piloti, che fanno benzina al distributore. “Quei veci là, guarda che belle moto che hanno” dice all’amica e l’altra risponde “Ma quello lo conosco, è Edoardo, abbiamo fatto le elementari insieme”. Così escono, iniziano a parlare e decidono di fare un giro in moto. Vanno a San Marino e tra i tornanti che portano sul monte, si trovano a gareggiare con un Guzzi Falcone. La spuntano nonostante siano in due su ciascuna moto.
Quel giorno scatta qualcosa, oltre alla Guzzi Astore.
Nei tre anni successivi Gianfranco va a trovare Maria Paola, da Albizzate a Nomi, ogni volta in sella alla sua moto, per settantadue volte. Il treno l’ha preso solo in due occasioni, tra dicembre e gennaio. Altrimenti salta sulla moto sabato a mezzogiorno, dopo il lavoro, percorre il tratto di autostrada da Milano fino a dove finisce, a Brescia centro, all’altezza della casa cantoniera. Prende per la strada Gardesana, che costeggia il lago di Garda sul lato lombardo. Passa sugli argini sterrati, concentrato, veloce, conoscitore della strada e carico di quell’entusiasmo che si prova quando si è innamorati, inebriati dalla voglia di incrociare lo sguardo, baciare il volto, sentire vicino la persona amata. A ogni viaggio Gianfranco cavalca un sogno che dista due ore e mezza da casa.
Io dico: “Ma questo è amore vero”. Maria Paola mi risponde ridendo: “Non so se è amore vero per me o per la moto”. Allude al fatto che Gianfranco si sia innamorato di lei per fare un lungo giro in moto tutti i weekend. Ma, anche se fosse, non mi pare che le dispiaccia.
Il Trentino è appena uscito dall’Impero austro-ungarico e i locali considerano gli italiani degli stranieri. Oltretutto la famiglia di Maria Paola è molto religiosa. Il padre non è molto convinto della relazione, ma il ragazzo dimostra una notevole e apprezzabile costanza.
I viaggi sono delle avventure a ogni appuntamento.
Una volta Gianfranco si fa accompagnare a Nomi dal suo amico Edoardo. Tra una galleria e l’altra della Gardesana trovano la polizia. Vengono fermati e un poliziotto chiede “Di che reparto siete?”, Gianfranco ed Edoardo si guardano. Probabilmente il casco e l’abbigliamento tutto nero hanno confuso gli ufficiali. Edoardo risponde “Del reparto mangia e bevi”. Gli uomini in divisa non prendono bene la battuta e rimproverano i motociclisti per la velocità. Dicono che non possono correre come la polizia. Gianfranco incalza “Ma se le moto vanno come la polizia, cosa ci possiamo fare?”.
Ogni weekend torna il lunedì mattina, parte alle 5 e va diretto al lavoro.
Nel 1959 Gianfranco e Maria Paola si sposano nella Chiesa di Nomi. Il giorno successivo sono già ad Albizzate e fanno un giro sul Sacro Monte.
Il viaggio di nozze è ovviamente in moto. Perché, in effetti, non c’è motivo di lasciare la moto. È fine agosto e vanno a Portofino, percorrono la costa fino a Viareggio, poi un tratto di Toscana e salgono sull’Appennino fino al Passo del Muraglione (vuoi non fare il Muraglione?). Proprio sul passo arrivano con il pieno nel serbatoio, ma la mattina non c’è più traccia di benzina. Sono tempi duri, specialmente in montagna. Arrivano poi a Cesenatico e salgono di nuovo a Nomi. Portano una piccola valigia, con poche cose, l’indispensabile per otto giorni. Maria Paola indossa sempre i pantaloni, una novità assoluta per le italiane, mentre in Trentino è consuetudine da tempo.
Anche dopo il matrimonio, Gianfranco non molla mai la sua Astore, ma nemmeno la moglie: sono sempre insieme. Anche se ha la macchina, Gianfranco preferisce la moto. Ogni mattina fa la sua strada per andare al lavoro sempre alla stessa ora. Con la sua rombante marmitta fa da sveglia ai compaesani. Quei rari giorni in cui non prende la moto, per via della pioggia e per altri impegni, i compaesani lo rimproverano perché la mancata sveglia li fa tardare al lavoro.
Nel 1960 e nel 1964 arrivano due figli: Mario Paolo e Riccardo.
Da quando ci sono i figli, Gianfranco si impegna ad accompagnare ogni due settimane tutta la famiglia dal suocero a Nomi. Pioggia, neve, febbre, compiti della scuola, non si accettano scuse, ci si alza alle 5 della mattina e si parte con la Fiat 124. Quando Gianfranco entra in autostrada (ai tempi si prendeva il biglietto e si pagava all’ingresso), il casellante lo guarda e gli chiede “Ma tu non sei quello della moto?”. Gianfranco risponde “Dove vuoi che vada in moto con questi qui?”, indicando tutta la famiglia.
In macchina Gianfranco è prudente, ma quando arriva sulla Gardesana, non si contiene. Maria Paola è davanti, mentre dietro ci sono Mario Paolo seduto e Riccardo nella cesta della carrozzina. C’è un punto, lungo solo 100 metri, dopo la galleria, con quattro curve. Gianfranco sospira “Se avessi la mia moto” e accelera quanto ce ne sta. Immancabilmente il figlio più grande soffriva la macchina, eppure ogni volta è la stessa storia. Gianfranco pensa alla sua Astore e guida la Fiat 124 come se avesse due ruote.
Questa storia d’amore, per l’Astore, è cieca. Come è cieco l’amore per Maria Paola.
Un giorno, a casa, Gianfranco e Maria Paola guardano un film romantico, dove il protagonista si presenta dall’amata con un mazzo di fiori. “Certo che non sei mai arrivato da me con dei fiori” dice Maria Paola. Gianfranco scoppia a ridere di gusto. Il prete, che li ha sposati e sta guardando il film insieme a loro, commenta: “Ma come? Possibile che non sei mai arrivato con dei fiori?”. Gianfranco risponde: “Ora vi spiego: quando eravamo fidanzati, ho preso dei fiori che ho legato dietro la moto, poi sono partito. Quando sono arrivato in paese mi sono girato ed erano rimaste solo le penne”. Forse Maria Paola avrebbe apprezzato anche solo gli steli.
Le foto d’epoca sul tavolo della cucina sono tante, tutte diverse e così affascinanti. Com’è che oggi dobbiamo fare venti foto con il cellulare per averne una decente, mentre quelle fatte con la pellicola erano perfette al primo colpo? Maria Paola mi confida che molte foto le ha buttate via. Io sono scandalizzata, ma mi specifica che erano quelle di Gianfranco con ragazze che non conosceva. E allora posso capire e darle ragione.
Riccardo mi accompagna in garage e mi mostra l’Astore. È parcheggiato accanto al muro, potrebbe sembrare una motocicletta d’epoca qualsiasi, se non fosse che ha vissuto in prima linea con Gianfranco.
Silenziosa se ne sta lì, a osservare chi passa dal garage e a portare in giro Riccardo nella bella stagione. È un vero peccato che una moto non possa parlare. Questa Astore ne avrebbe delle belle da raccontare, di un uomo dal carattere forte e molto buono, che riconosce sempre la buona fede negli altri.
Riccardo mi propone di fare un giro. Io accetto immediatamente. È dicembre, il freddo si fa sentire, ma stare seduta sul sedile posteriore di quel mezzo, con la marmitta scalpitante, è un onore e un’emozione unica. Il rumore del motore è fluido e rotondo, si direbbe in perfetta salute, nonostante le migliaia di chilometri percorsi su tutti i tipi di strade.
Un esperto direbbe subito che non ha il manubrio originale. Non si sa se sia stata una scelta di Gianfranco o del precedente proprietario: l’unica cosa risaputa è che un tempo le persone usavano le moto come mezzo di trasporto e quindi le adattavano alle proprie esigenze, modificando gli accessori, spesso con pezzi non della casa madre, per contenere le spese.
Una dimostrazione è anche la sella: nelle foto in bianco e nero è lunga, per viaggiare in due. Oggi, come allora, decide il pilota Riccardo, che ha rimesso la sella originale trovata in garage.
Per questa “modifica” la mamma Maria Paola ha avuto da ridire: “È la mia moto!”.
Riccardo capisce e sostiene che “cambiare qualcosa è come strappare una carta d’identità.” E Maria Paola incalza: “No, è un funerale!”. E pensare che è stata rimessa la sella originale.
Poi, guardando bene il mezzo, si notano imperfezioni che richiederebbero un bel restauro: sotto il parafango posteriore ci sono molti segni. Solo chi conosce la storia di questa moto sa che sono i sassi presi sulla Gardesana, mentre Gianfranco correva dalla sua Maria Paola.
Quelli che potrebbero sembrare dei difetti di una moto vecchia, sono invece la testimonianza di una bellissima storia d’amore tra un uomo e una donna, che insieme hanno amato e vissuto con intensità una motocicletta del 1952.
MAURO
mei quel de prima mo ghe capisi pu nagot
Marciliano RABUFFETTI
Conoscevo bene Gianfranco perchè abito nel Suo stesso paese di Albizzate. Un uomo che con la Sua moto era un idolo per noi ragazzini più giovani. Quando Lui e l’amico Edoardo arrivavano al Circolo noi correvamo lì a vederLi ……e già sognavamo di esser come Loro quando saremmo diventati giovanotti. Quei sogni per me sono diventati poi realtà. Quando presi la nuova DUCATI Scrambler 350 venne subito a vederla, sempre con l’inseparabile amico Edoardo, e la vollero anche provare……Provai orgoglio per quella prova e per i Loro commenti…..Motociclisti veri.
Quanti servizi insieme alle Corse ciclistiche locali.
Ho un grande ricordo di Lui, non solo di Motociclista vero, ma anche di Uomo vero….. tanto forte quanto buono, sincero e sempre disponibile per la Comunità.
Benedetta Marazzi
Mi fa molto piacere che ti ritrovi in questo racconto. Ho percepito anch’io che fosse una gran bella persona al di là della passione per le moto.