Mi chiedo come vestissero le donne in sella nella prima metà del Novecento. Possiamo scoprirlo grazie a Angela ed Aldo e alla loro collezione di fotografie d’epoca.

Quando sono con Mina viaggio fuori dal tempo e aspiro a “vestire” il ruolo di donna del passato in motocicletta. Ovviamente senza rinunciare ai comfort del 2020. Non sto parlando di una motocicletta moderna ovviamente, ma di abbigliamento. Il mercato non offre molto, anzi, praticamente nulla, è vergine.

Quindi cerco ispirazione. Aldo ha raccolto documentazione da tutto il mondo, le foto vanno dal 1894 al 1960. Angela ha studiato la Storia della moda delle donne. Tra centinaia di foto sorge spesso il dubbio di capire chi fosse davvero una pilota e chi semplicemente posasse per lo scatto.

In questa ricerca mi sono soffermata sui look meno da shooting e più ordinari, presumibilmente realistici per una motociclista di un tempo. Per smascherare “i falsi” guardo le scarpe, anche se forse è il mio principale problema di relazione con Mina e lo stile.

Tra le motocicliste più affascinanti c’è Vittorina Sambri, ferrarese, in sella alla sua moto Borgo, a inizio Novecento. Gareggiare in moto è sempre stato una pratica per soli uomini, anche perché i mezzi erano poco consoni allo stile delle donne, per via delle gonne che non permettevano la cavalcata.

La donna con i pantaloni è nata ufficialmente con Coco Chanel, a cavallo delle due guerre, durante la belle époque, attraverso la creazione di completi con pantalone largo, pensando alle donne che devono lavorare mentre gli uomini si battono al fronte. (fonte: https://bit.ly/2YervLU)
Ma l’emancipazione è lenta. Ricordo che Maria Paola mi ha raccontato che in Italia non era ben vista la donna con i pantaloni addirittura negli anni Cinquanta (la sua storia con Gianfranco qui).

Il pantalone è largo e a vita alta. La foto è stata scattata in Austria, con una moto Ariel.

Angela mi ricorda che la prima moto è nata nel 1894 e che un modello da donna è uscito della Singer nel 1903. La sua particolarità era il telaio ribassato centralmente, più spazio tra il manubrio e la sella, per permettere a chi aveva la gonna di guidare, come a donne e a preti. Come questa Sertum Batua, cavalcata da una ragazza giovanissima negli anni Trenta.

La Batua è un modello di motocicletta Sertum nata proprio per le donne e gli ecclesiasti.
Pantaloni alla zuava su Sertum 500 bicilindrico con sidecar.

Le prime donne motocicliste indossavano come gli uomini i pantaloni alla zuava, per lo più stivali stringati e un giaccone in pelle.

Il primo trench impermeabile è nato in occasione della prima guerra mondiale. Era infatti destinato ai soldati britannici. Era uno strato sottile di gomma con molte tasche. L’azienda produttrice si chiama Aquascutum, che in latino significa “acqua scudo”.

Anche il casco nasce a inizio Novecento: da un piccolo berretto in pelle foderato di pelliccia, si passa al cuoio rigido a scodella; a partire dagli anni Venti l’imbottitura veniva realizzata in sughero, tela, polpa di legno tenuti insieme da resine.

Donne motocicliste su Excelsior e Douglas.

Nel 1928 le sorelle inglesi Nancy e Betty Debenham scrivono un libro dedicato al motociclismo per donne. A quanto pare nei loro spostamenti non rinunciavano a nulla e in questa foto mi colpiscono le ghette attillate grazie ai bottoni.

Le sorelle Nancy e Betty Debenham. Come non notarle?

Tante volte mi chiedo come le donne (ma anche gli uomini) riescano a tenere il cappello. Dovrebbe volare via.

Tra le tante foto internazionali ce ne sono anche di italiane, che raccontano di capi che hanno cambiato il proprio ruolo negli anni. Il classico impermeabile di Thomas Burberry nato a fine Ottocento, vestiva i militari in trincea, poi è divenuto famoso e di uso comunissimo tra la gente dopo la grande guerra. Nella foto sotto è indossato da una giovane motociclista, che sfila alla manifestaizone “Rosa d’inverno” a Milano, nel 1930, su una moto Indian con sidercar. Dal 1942 si trasforma nel capo associato simbolicamente al mistero e all’azione, grazie all’indimenticabile Humphrey Bogart in Casablanca nel 1942.

La tuta da officina è in taglia maxi, comoda e spesso stretta da lacci ai polsi e alle caviglie per evitare il passaggio d’aria, polvere e insetti.

L’occhialone è per tutte un “must have”, altro simbolo di motociclista vera.

In un mondo dove oramai pensiamo di avere tutto e visto di più, è davvero curioso scoprire che c’è ancora qualcosa da inventare: abbigliamento e accessori da donna con moto d’epoca.
Sono sorpresa che le grandi case di moda non ci abbiamo mai pensato. Hermés ha disegnato lo stile aviatrice nel 2009, forse tra qualche decina di anni potremo trovare qualcosa. Ce la faremo?


La Storia è bellezza

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