Vi siete mai chiesti cosa potrebbe provare un motociclista del 1950 nel guidare una moto del 2018? Io ho una mia versione, all’evidenza dei fatti. Perché non ho mai guidato un’altra moto al di fuori di una Sertum 250 VL-4 del 1950 di nome Mina, e un giorno mi sono trovata in sella a una KTM Duke 790.

Non aver mai guidato una moto moderna, non so perché, è sempre stato motivo di orgoglio per me. Forse perché le moto moderne non mi piacciono. Quando ne ho cercata una per comprarla ho setacciato tutti modelli di tutte le marche, ma niente da fare. Ai miei occhi sono tutte più o meno brutte. Il risultato? Ho riesumato dalle catacombe di casa la Sertum di famiglia, dimenticata da almeno 40 anni in garage.

Tutto è iniziato 5 anni fa, mio padre mi aveva avvisata che sarebbe stata difficile da manovrare, che i freni non erano sicuri ed era meglio scegliere una moto moderna. Ma figuriamoci se mi rendevo conto, non avendo mai guidato una moto prima di allora. Quando ho diseppellito la Sertum dall’angolo più buio del garage, è stato un colpo di fulmine. L’ho vista sotto la luce del sole e ho sognavo di viaggiare con lei. Così ho imparato a guidare la moto, con Mina. Ho impiegato 2 anni per prendere confidenza. All’inizio è stata dura. L’avviamento è stata la parte più dolorosa, in tutti i sensi. Ma poi, una volta in sella, tutto filava liscio come l’olio, a parte svariate grattate con il cambio.

Molti mi hanno detto “Devi prenderti una moto moderna. Non puoi andare in giro con la Sertum, sarai sempre limitata.” I limiti sono negli occhi di chi guarda. Io non li ho mai percepiti, ma solo perché non ho mai avuto altri parametri di giudizio.

Sono solo 3 anni che guido Mina, oramai mi considero una pilota non esperta, ma con una certa dimestichezza del mio mezzo. Ho percorso migliaia di chilometri da sola, attraversato strade bianche e anche guadato un torrente.

Anche solo per dimostrare che non mi ero incaponita sulle moto d’epoca, prima o poi sapevo che avrei guidato una moto moderna e l’occasione è arrivata con la nuovissima KTM Duke 790, uscita sul mercato nel 2018. Ci sono quasi 70 anni di differenza tra la Duke e la mia Mina. Nella storia della meccanica motociclistica penso che qualcosa deve essere cambiato.

In effetti, immaginate di vivere negli anni Cinquanta e di vedere una Duke. La prima cosa che pensereste è che sembra uno scarafaggio. Anzi, un incrocio tra una mantide religiosa e un panacanthus. Il muso è pineo di spigoli, completamente fuori moda rispetto i tempi in corso, caratterizzati da linee semplici e morbide, sinonimo di comodità e benessere. I materiali sembrano flessibili, sottili e quindi scadenti. La plastica si sta espandendo su molteplici settori, ma nel campo motociclistico non si è mai vista. Vogliamo commentare la dimensione delle ruote? Troppo piccole, quindi poco sicure. Difficile andare dritti con le buche per strada. Figuriamoci poi quando piove e in mezzo al fango.

Le altezze di sella e manubrio sembrano misurate su Robert Wadlow, l’uomo più alto mai esistito, morto nel 1940.

Ma passiamo alla prova del mezzo su strada. Si parte. Niente pedale che scalcia. Basta un tasto. Pazzesco.

Mi dicono che il cambio è a sinistra e funziona al contrario, mentre il freno è a destra. Nella mia Mina è tutto a rovescio. “A rovescio è la Duke” rispondo.

Ricordo che la mia amica Carlotta, che guida una Gilera 125, mi ha fatto notare la soddisfazione ad aumentare la marcia in velocità, abbassando la leva del pedale con l’energia che si prova in corsa. “Senti ‘stak’, poi acceleri”. Alzare il pedale del cambio non è la stessa gioia.

Sulla Duke tocco a malapena a terra e mi sento instabile. I pedali sono minuscoli. Bisogna tenere i piedi ben aderenti alla moto. Ma perché? Sono così scomodi. Ho modo di sperimentare subito i freni, quello anteriore funziona a scatti o addirittura inchioda. Cado subito da ferma su un fianco. È solo l’inizio di una serie di disagi.

Parto e mi sento sopraelevata, come su un cavallo imbizzarrito. La velocità è segnalata su uno schermo, insieme ad altri simboli che non capisco. Percorro diversi chilometri e mi rendo conto che viaggio in media sui 50 km/h. Mi gioco tutto tra la terza e la quarta marcia. Ma capisco che la moto ha ancora ampio spazio. Scopro la quinta e tocco gli 86 km/h. Mi spavento e rallento. Da questo fatto mi rendo conto che tutte le storie che racconto su Mina sono false: il problema vero non è la mia moto, ma la pilota. Agli incroci la gente mi guarda: forse perché anziché usare la freccia metto fuori il braccio. Per cambiare marcia tiro la leva della frizione e penso “quale piede devo usare, destro o sinistro? Devo alzare o abbassare il cambio?” intanto supero siepi, cancelli, incroci. Tengo le distanze di sicurezza come se stessi guidando un camion carico. Con Mina già tengo delle distanze discrete, ma con la Duke devo raddoppiarle per avere il tempo di gestire l’emergenza: devo frenare, quale pedale devo usare? Il freno anteriore non lo voglio più toccare.

Prendo confidenza e inizio a godermi questo motore davvero grintoso. Sto per entrare in una curva e scalo. Scendo da una marcia all’altra, sono a ridosso della curva e sento la moto giù di giri. Guardo il monitor e leggo 6. Addirittura 6 marce?! Penso che non riuscirò mai a recuperare invece la scalata è veloce, rapida e precisa. Mi fa quasi pensare di essere una grande pilota e di poter affrontare qualsiasi gara di velocità. Molte persone mi hanno detto che con una moto moderna ci si prende gusto ad andare forte, ma non è il mio caso. La velocità mi piace per 5 minuti, poi mi annoio. È un po’ come i videogiochi: c’è chi non smetterebbe mai di giocare, mentre per me il tempo di capire come funziona è più che sufficiente a volermi dedicare ad altro. Forse devo solo abituarmi alla guida, sono troppo stressata nel pensare a tutte le cose che devo disimparare e reimparare. Il mio cervello è concentrato a mille giri al minuto. Con Mina invece ho sempre tutto sotto controllo, guardo lo specchietto in continuazione, mentre con la Duke non ho il tempo per occuparmene, tra cambio, freni, display. E se non riesco a guardare cosa accade in strada dietro di me, figuriamoci se posso gustarmi il paesaggio.

La Duke ha un telaio piuttosto rigido, come la mia Sertum, ma nella guida è dannatamente fluida, a parte quando cerco di aumentare le marce e scopro di schiacciare il pedale del freno.
È luglio e dopo qualche ora il motore emana un gran calore. Questo mi consola. Non solo Mina ha un motore che diventa la porta dell’inferno d’estate.
Arrivo, tesa. Non mi sono goduta il viaggio. Vedo la mia Mina e penso sia la moto più bella del mondo. Partiamo e mi pare inchiodata. Mi chiedo se ha qualche problema. Ma arrivo a casa, quindi credo che sia tutto a posto.

Conclusioni? La Duke si accende con un tasto e ha l’ABS. Mina invece mi chiede se sono sicura di voler fare un giro con un calcio e mi fa tenere le distanze di sicurezza. La Duke è veloce e performante. Mina mi invita a guardarmi attorno e a riflettere su quello che faccio. La Duke è alta tecnologia. Mina è la sperimentazione della meccanica più spicciola. La Duke è il futuro. Mina è la Storia. La Duke dà i brividi. Mina emana vibrazioni.

Meglio una moto moderna o una moto d’epoca? La verità è che con la mia Sertum mi sento più sicura. Magari non di arrivare a destinazione, ma di imparare a vivere con più consapevolezza il viaggio della vita.