Il 21 settembre del 2013, quando ho riesumato la moto dal garage dei miei genitori, ho scattato una foto e l’ho inviata ad una persona che sapevo sarebbe stata mia complice: il mio amico Alessandro Graiani, infatti, mi ha risposto con entusiasmo e mi ha detto che non sapeva come mi avrebbe aiutata, ma mi ha chiesto di avere pazienza.
Passavano i mesi e ogni tanto ci sentivamo.
Non sapendo esattamente come fosse messa la moto e ancor meno masticando l’argomento, potevo inciampare in individui scaltri che si approfittassero della situazione. Comunque sia, nella migliore delle ipotesi smontare una motocicletta d’epoca richiede attenzione e quindi molto tempo. Non esistono manuali. I ricambi sono difficili, se non impossibili, da trovare. I pezzi si cercano nei pochi mercatini di appassionati, che si ripetono due o tre volte l’anno in giro per l’Italia. A volte vanno fatti rifare da artigiani specializzati. Il tempo necessario per il restauro si dilata inevitabilmente e può richiedere anche dieci anni prima della fine dei lavori. Ne deriva che la manodopera deve essere retribuita in proporzione. Tutto questo senza sapere se e quando si arriverà al risultato sperato. Tutti dicono che l’investimento non viene mai ripagato.
Il mercato di moto d’epoca è poco animato, specialmente se il mezzo non è un conservato originale. La mia moto era stata verniciata da mio padre ben due volte: negli anni Settanta cercò di ammodernarla a suo piacimento, giustamente, visto che sarebbe servita a conquistare mia madre. Nello stato in cui l’ho trovata non ha valore di mercato.
Il mio obiettivo non era riavere la Sertum luccicante come quando è uscita dalla fabbrica nel 1950. Io volevo solo rimetterla in strada e poter circolare.
I documenti sono un’altra questione importante da considerare. Avere libretto e targa originali facilita le trafile burocratiche. A me mancava la targa e questo ha inciso sulla procedura e sui costi: la moto va fatta reimmatricolare e la targa nuova svaluta ulteriormente il valore del mezzo.
Nonostante queste premesse, non mi sono minimamente scoraggiata. Ho avanzato un passo alla volta, curiosa di sapere cosa sarebbe accaduto lungo il tragitto.
Un giorno il mio amico Alessandro mi ha parlato di un conoscente che, per passione, si occupa di restauri di moto. Un esperto di meccanica e di oggetti d’altri tempi: un vero talento, grazie a lui tutto torna a funzionare. Ci siamo conosciuti tramite la chat di Facebook. Ho cercato di tirar fuori tutta la mia gentilezza e disperazione nella speranza mi prendesse in simpatia. Ma non era minimamente intenzionato a vedere la mia moto. Mi ha detto che ne avremmo riparlato dopo mesi, perché aveva un sacco di lavoro. L’ho avvisato che mi sarei rifatta viva. E così ho fatto. Più di una volta, incurante dei mesi che passavano.
Nel frattempo mio padre è stato inevitabilmente coinvolto nella missione. Aveva capito che non avrei mollato la presa. Si è fatto trascinare dagli eventi. Ne parlavamo spesso e abbiamo passato una giornata intera insieme a lavare la moto: tre volte, con lo sgrassatore universale, spugne e olio di gomito.
Dopo un anno di pazienza, Alessandro Ferrari, detto Chicco Restauri Impossibili, ha accettato di vedere la mia moto.
Era il 1° febbraio 2015. Di buon mattino, Alessandro Graiani è venuto a casa mia ad aiutare mio padre e me a caricare la Sertum sul furgone. Era domenica. L’officina dista 40 km da casa mia. Siamo arrivati e ci è stato ordinato di scaricare la moto. Chicco Restauri Impossibili era circondato da un gruppo di uomini, vestiti a festa, con i quali parlava di motori o altri argomenti da officina, che preferisco non sapere. Ero l’unica donna, ovviamente. Chicco non mi ha guardato nemmeno in faccia e ha girato intorno alla mia motocicletta con fare circospetto. Gli altri presenti osservavano la scena con le mani in tasca e facevano qualche domanda a mio padre.
Gli uomini non amano parlare di motori con le donne. Le ritengono delle sottosviluppate mentali. In quel frangente non potevo dar loro torto.
Ero pronta a passare tutta la giornata a lavorare, sporcarmi le mani di grasso, eseguire i compiti che mi avrebbero dato, per poter osservare da vicino le operazioni in ogni fase e conoscere così ogni componente del mio mezzo. Chicco mi ha liquidata in due minuti. Mi ha detto che avrebbe guardato la moto in settimana, se avesse avuto tempo.
Me ne sono andata delusa ma speranzosa.
Il verdetto è arrivato prima del previsto. La sera stessa ho ricevuto un video da Chicco, con la Sertum accesa. Il motore scoppiettava e brontolava come un orso irritato.
Mi sono ritrovata un sorriso a trentadue denti che non riuscivo a contenere di un millimetro. Ero felice. Felice come non sono mai stata. La Sertum 250 VL del 1950 era resuscitata per me e grazie a me: l’avventura era solo all’inizio.
Chicco Restauri Impossibili quel giorno non ha resistito alla tentazione di mettere subito mano a una moto così vecchia e sfidante. In giornata ha smontato il cilindro, con la pastasmeriglio ha adattato le sedi alle valvole, ha pulito il carburatore e ha rimontato tutto.
Ho insistito per partecipare alla seconda fase di restauro e Chicco ha accettato, forse perché immaginava che sarebbe stato esilarante avere una donna in officina per un giorno. Non credo capiti spesso. Si sarebbe fatto quattro risate con i suoi collaboratori-amici, Gian Maria e Lorenzo: grandi tecnici, che nella vita fanno tutt’altro, ma nel tempo libero si trasformano in professionisti da alta scuderia.
È difficile muoversi in questi ambienti prettamente maschili, nessuno ti prende in considerazione. Se parli non ti ascoltano, se ti ascoltano sogghignano pensando che stai per dire una baggianata. Per gli uomini è evidente che non ti devi immischiare. Ma mi sono intromessa. Mi sono presentata piena di buona volontà. Eseguivo e osservavo. Sono riuscita a farmi volere bene, credo.
La seconda domenica di lavori abbiamo smontato il carburatore, lucidato alcuni pezzi cromati e carteggiato il serbatoio portando in superficie la seconda verniciatura. Gian Maria mi ha insegnato che si può amare anche la più piccola ammaccatura di una moto vecchia: fa parte della sua storia.
Una volta rimontato il tutto, abbiamo aperto l’aria, abbiamo cicchettato con qualche colpetto il bottone della benzina e con una forte pedalata ho provato a mettere in moto. Niente da fare. Ha provato Chicco. La Sertum si è accesa e lui è saltato in sella per scaldarla in cortile.
È tornato e me l’ha consegnata: sono salita senza esitare e ho preso la strada semi-innevata, senza nemmeno sapere come usare il cambio e i freni. Ricordo che il mio amico Alessandro Graiani mi è corso dietro, pensando che sarei caduta da lì a poco. Invece no, sono riuscita a svoltare e tornare all’ingresso dell’officina. Emozionata più di una bambina davanti a un castello incantato.
Ho portato a casa la Sertum.
I nuovi documenti si possono chiedere in autonomia alla motorizzazione oppure tramite un’agenzia specializzata: in quest’ultimo caso il costo è più alto, ma i tempi più ridotti.
Parlando a chiunque incontrassi della mia motocicletta ho saputo di un signore in pensione, che restaura moto d’epoca per passione. Claudio Panciroli ha accettato di controllare freni e cambio, rifare l’impianto elettrico, cambiare le gomme, oltre di farsi accompagnare ai mercatini di Imola e Novegro per cercare alcuni piccoli componenti.
Nel frattempo ho iniziato a fare conoscenza con il mezzo. Ho impiegato un anno ad imparare ad accendere la moto. All’inizio me l’avviava mio padre e io partivo per un giro a pochi chilometri da casa, sperando che non si spegnesse, perché poi non sarei stata più in grado di riaccenderla.
Credevo non sarei mai diventata indipendente. Invece la mia cocciutaggine mi ha premiata. Oppure la mia Sertum ha capito che non aveva scelta, non l’avrei lasciata stare.
In quei mesi è iniziato un viaggio senza ritorno, fatto di amore, nuove conoscenze, avventure tra odore di benzina e olio bruciato.
Da lì a poco è nato il mio progetto editoriale.