Enrico ha 23 anni e vive a Maranello, in provincia di Modena.

Com’è nata questa passione?

Colpa del nonno Beppe, noto a tutti come Cantoni, che quando avevo tre anni mi portava a spasso sul suo Falcone, a cavalcioni sul serbatoio. Non si sapeva se fosse più fiero lui del portarmi o io del farmi portare… Arrivano presto i primi raduni come passeggero mi trovo in sella anche sullo Sport 15 del grande Lorenzo, il mio Cicerone nel mondo delle moto d’epoca, sempre pronto ad aiutarmi e a consigliarmi. La moto è sempre stata un punto fermo. Col passare del tempo, anche con l’aiuto di amici come Francescone, ho cominciato a collezionare le anteguerra, restaurarle, fare ricerche, dannarmi per quel maledetto carter che non si trova e aspettare che la rettifica mi consegni un cilindro che mi permetta finalmente di saltare in sella, andare al prossimo raduno e ritrovare gli amici.

Entri in un garage e ci sono 3 moto. Quali sono e perché.

Una Henderson 4 cilindri degli anni ‘20, perché le moto d’epoca vanno comprate vecchie e pluricilindriche. Una Indian Powerplus con sidecar per le gite della domenica. Una Rudge anni ‘30 di quelle con cui corse Ferrari e qui concedetemi un po’ di campanilismo: una moto mignon, che veniva costruita a Modena, per poter far rivivere e testimoniare la storia della mia terra.

Come insegneresti questa passione a un bambino?

Io credo che la passione si possa trasmettere, tramandare, ma non insegnare. Con me ha funzionato così. Se un bambino con la sua curiosità e voglia di scoprire e imparare avesse visto gli occhi del nonno illuminarsi per un mucchio di letame, come quelli di mio nonno nel vedere le moto, oggi sarebbe un appassionato di letame. Questa passione ha vari risvolti: tecnici, storici e culturali, ma a differenza di un libro stampato la storia la guidi e non la leggi, la meccanica la tocchi e non la ascolti a un corso. Sono tutte cose che possono emozionare un bambino.

La tua strada preferita?

Dietro casa, sulle mie colline. La facevo in bici, poi in motorino ed adesso in moto, dove sono caduto, ho perso pezzi, ma di cui conosco ogni curva e buca. È la strada in cui si provano le moto una volta restaurate. Una strada che mi dà emozione, ogni volta.

Che motociclista sei?

Sono un motociclista emiliano, la moto è un culto, la spingo al massimo e mi piace piegarmi nelle curve. E mi sento un po’ un pioniere quando gioco con manettini, leve e pompe dell’olio, per fare qualcosa che una moto di oggi fa con un solo tasto.

Cosa dicono i tuoi coetanei?

I miei coetanei mi danno del matto e, in fondo, un po’ matto mi sento davvero. Ma del resto anche il Drake rispondeva “finiti i matti il mondo non va più avanti”.

Cosa rallenta la crescita di questa passione?

Sicuramente la nostra non è una passione economica. Credo che il punto sia una po’ il ritardo con cui ci affacciamo sul mercato: i nostri predecessori hanno già esplorato ogni cascina, garage e cantina, per cui oggi puoi comprare da collezionisti o da commercianti, ma i prezzi li fanno loro.

Per quanto riguarda l’ambiente io vedo un grande sforzo di tanti club come il mio, il CMEF di Firenze, nell’organizzare eventi sempre più completi ed accessibili alle tasche di tutti, ma vedo allo stesso tempo un disinteresse di ASI al mondo motociclistico, ed in particolare ai giovani, ai quali non è riservata nessuna agevolazione.

Esprimi il tuo sogno.

Non ho un sogno, ne ho tanti, che piano piano porto avanti sotto forma di progetti. Mi piace cercare amici con cui condividere la mia passione e un giorno, spero, organizzare raduni.