Con la mia Sertum di nome Mina viaggio nel passato a 40 km/h per conoscere un tempo che non c’è più, ma che non è perduto. Basta avere un mezzo d’epoca per ritrovarsi alla destinazione temporale scelta. Come quella volta che ho ripercorso 2700 km da Nord a Sud d’Italia, per rivivere l’esperienza del primo proprietario della mia moto, che negli anni Cinquanta andava da Milano ad Andria a trovare i parenti, con la moglie sulla sella posteriore.
Com’è nata l’idea di questo progetto? Le colpe e i meriti sono da imputare alla mia voglia di avventura, ma soprattutto perché quando sono con la mia Sertum 250 VL vorrei che il giro in giostra non finisse mai.
Così ho iniziato a viaggiare con un rudere che non conoscevo affatto, ma che ho iniziato ad amare come non è mai accaduto per nessun altro oggetto, nemmeno per le mie scarpe o le mie borse, i miei accessori per il make-up e i miei soprabiti firmati. La mia moto mi regala emozioni che si replicano ogni volta: l’entusiasmo quando ne parlo, la felicità quando la guido. Questa è la mia prima moto. Assolutamente unica, difficile da avviare, che sembra poter perdere pezzi da un momento all’altro. Eppure così affascinante, interessante e imprevedibile. Assolutamente irresistibile.
L’ho chiamata Mina perché per me è esplosiva.
Ma buona parte della responsabilità di questo progetto va data anche alla complicità del mio amico Stefano Pracca. La circostanza in cui l’ho conosciuto ne ha della commedia felliniana.
Una bella giornata di maggio decido di fare un giro vicino a casa. Cocciuta come sempre, voglio partire senza scomodare mio padre dal divano per l’avviamento della moto. Ammetto di avere avuto qualche problemino all’inizio. Quindi mi ci metto d’impegno: dopo svariate pedalate, niente da fare, la moto non si accende. Quindi prendo la discesa sotto casa. “Questo trucchetto funziona sempre” penso. Ma non stavolta, la moto non parte. Alla fine della discesa chiamo mio padre e, in attesa che arrivi, inizio a spingere la moto in salita. Passa un’auto di francesi: rallentano e mi guardano spingere. Li osservo a mia volta e mi chiedo cos’abbiano tanto da guardare. Poi passa una Fiat, l’autista inchioda e abbassa il finestrino. “Ma quella è una Sertum!” esclama. “Come hai fatto a riconoscerla?” sobbalzo io. Scende dall’auto e parliamo come se ci conoscessimo da sempre.
Stefano Pracca, meccanico e grande appassionato di oggetti d’epoca, specializzato in qualsiasi mezzo con 2, 3 e 4 ruote, grande amante delle Topolino, stava raggiungendo i francesi a cena: erano insieme nella mia zona per il raduno Asi a Varano Melegari.
Scopro che suo padre ha messo a disposizione l’officina per scattare le foto del libro “Sertum” di Mario Colombo e che ha restaurato una Sertum 250 VT, motore Super Sport, con pneumatici da 21 pollici, del 1939: una moto che era intestata a Fausto Alberti, fondatore della Sertum, e che quindi, molto probabilmente, è stata usata per una Sei Giorni Internazionale.
Quel giorno ero rimasta a piedi di punto in bianco, a causa del magnete. Quell’episodio mi ha insegnato che da quel disco dipende l’avviamento e che ogni tanto devo fare limare le puntine. Altro non so.
Ma soprattutto da quell’esperienza ho imparato che, con una moto d’epoca, anche le condizioni peggiori possono rivelarsi una fortuna.
Stefano ed io siamo rimasti in contatto e mentre mi disperavo per il fatto che un pezzo di storia italiana stava andando perduta, abbiamo deciso che avrei scritto un libro sui Sertumisti e su chi ha vissuto le moto d’epoca, per raccontare le loro storie e avventure.
C’è un patrimonio di racconti e aneddoti nella memoria degli italiani: queste storie non possono rimanere nel cassetto a fare la muffa, devono vedere la luce, come la mia Mina quando è uscita dal garage. In un mondo dove tutto corre sempre più veloce, ci sono ancora emozioni inesplorate da scoprire.
Stefano mi ha invitata a incontrare un’importante moto Sertum da competizione a Castiglione Torinese e due sertumisti di sua conoscenza, che vivono come lui in Piemonte.
Per provare cosa significa davvero essere un motociclista del passato e risultare credibile agli occhi di chi avrei incontrato dovevo presentarmi con Mina, non avevo scelta.
Qualcuno mi ha chiesto se non avevo paura a viaggiare da sola: “una donna da sola per strada” non è un’idea raccomandabile. Ho sempre risposto che se aspettassi gli altri a fare le cose non combinerei nulla e se mi facessi dominare dalla paura non vivrei la vita. In fin dei conti, abito da sola a Milano da anni, ho viaggiato in posti ben più lontani da casa e se fossi rimasta a piedi, avrei trovato un posto dove dormire, e prima o poi sarei riuscita a riportare a casa la moto, anche senza sapere come.
E sono partita per il mio primo viaggio.
Se conosci persone appassionate di moto d’epoca o familiari che mi possono raccontare le loro storie, scrivimi.