Trova l’intrusa

Al raduno organizzato dai Club dall’Auto Moto Storiche Alto Piemonte e Moto Morini Passion, Mina si immerge tra bellissime strade del biellese e scopre storie che non devono andare nel dimenticatoio.
Dopo 1.263 km percorsi in 12 giorni, tra pioggia, vento, neve, arrivo a Biella dove parcheggio la moto, torno a Milano in ufficio due giorni e poi finalmente sono di nuovo da Mina. Mi è mancata. 48 ore di distanza sono troppe. Questo legame mi fa pensare. Mi fa sentire libera e al tempio stesso mi crea dipendenza. Andare da lei è come tornare a casa, ovunque essa sia, stavolta a Biella, nel parcheggio di un caro amico, che ero certa si sarebbe presa cura di lei. Luca Durando, 34 anni, ama tutti i mezzi d’epoca, fin le carrozze. L’ho conosciuto a una manifestazione a Saint Jean Cap Ferrat, in Costa Azzurra, insieme al padre Giorgio, a bordo di un’incredibile auto: una Hupmobile 20 Runabout del 1909. Mi colpirono anche per il look, raffinato e impeccabile, un vero salto nel passato più sofisticato.
Gli appassionati degli oggetti d’epoca sono persone speciali, che permettono all’umanità di conoscere e conservare le radici più recenti dell’umanità.
Al mio arrivo Luca è fuori città per un altro evento motociclistico. Mi accoglie Valeria Tua, che mi contattò mesi prima per invitarmi al Raduno Moto Morini Passion. Due chiacchiere e mi sento subito a mio agio, eppure è la prima volta che ci incontriamo. Entrambe amiamo la motocicletta, lei ha un Ducati Monster 900 M, ma ciò che ci unisce davvero è l’attrazione per la libertà. Il viaggio su due ruote ha un sapore unico, perché ci unisce al mondo, con il vento sulla faccia, anche se il mio, con Mina, è sicuramente molto più carezzevole di quello che percepisce Valeria.

Mi presento a cena, a Sordevolo, presso la struttura Pratovalle, un circolo a disposizione del paese, ubicato accanto ad un palazzo storico, in cui oggi c’è la Scuola, e al Teatro en plein air dove si sono esibiti i più importanti cantanti italiani.
La maggior parte dei partecipanti al raduno sono francesi. Il giorno stesso i motociclisti hanno preso due ore d’acqua nel ritorno dalla visita della fabbrica Morini, a Trivolzio, in provincia di Pavia. Eppure non sembrano provati. La sono più io dopo il mio venerdì lavorativo.
Paolo Chiocchetti e Paolo Frassino, responsabili del raduno, mi danno il benvenuto e sono subito in famiglia.

L’indomani inizia il motogiro, la prima destinazione è il Museo del Ferro a Netro, che racconta l’evoluzione dei sistemi di lavorazione del ferro delle Ex Officine Rubino. Durante la visita mi chiama un sertumista doc: Franco Bega. Non vedo l’ora di andare a vedere la sua collezione di Sertum. Mina mi ha permesso di conoscere persone così distanti da me eppure così affini.
Torno nel piazzale e mi avvicino alla mia moto, nascosta tra una sessantina di moto Morini. Mi aspetta una signora con un bel sorriso. Si presenta, mi fa i complimenti e specifica che mi parla da ex motociclista. Laura ha più di 80 anni, è spigliata ed espressiva, ed è in compagnia del marito Elio. Voglio sapere tutte le sue avventure e infatti ne ha delle belle da raccontarmi. Prendeva di nascosto la moto del fratello e poi lui si lamentava che non c’era mai benzina. Un giorno l’ha fermata la polizia: conosceva il poliziotto perché del suo stesso paese. Lui era sorpreso di vedere l’amica in moto e le disse “Ma come faccio a dare la multa proprio a te?” e lei rispose “Allora non darmela” e la lasciò andare via. Un’altra volta lo zio le disse: “Mi vai a prendere le sigarette?”. Aveva un bel Falcone. Laura gli rispose: “Se mi dai la moto, sì”. Lo zio non sapeva che Laura sapesse andare in moto e le rispose altezzoso “Guarda, la moto è lì”. Lei prese il Falcone e partì. Nel tragitto fino in tabaccheria andò talmente forte che rischiò di schiantarsi. Ma questo è niente. Elio mi racconta di quella volta che andò con la moglie a fare un giro. Laura diceva che la sua moto non andava tanto bene e a un certo punto la buttò a terra, perché non funzionava come avrebbe voluto. Un bel caratterino, ce ne fossero di donne così.

Il percorso del raduno prosegue fino a Baio Dora, con una bella panoramica sulla Serra Morenica di Ivrea, prima dell’arrivo al ristorane, dove siedo accanto alla Presidente del Moto Club Perazzone Cavallini, Alessandra Fabris: una donna energica e determinata, che sa tenere a bada un gruppo di uomini appassionati di moto.
A metà giornata già tutti chiamano il mio mezzo per nome. “Mina come va?”. “Mina va alla grande” rispondo con un sorriso che è un riflesso incondizionato.
La mia Sertum è l’unica non Morini. È anche la moto più vecchia. Molti si avvicinano a guardarla. Io mi avvicino a mia volta per controllare quegli uomini curiosi. Non vorrei che qualcuno toccasse Mina. I manettini, il fanale, il motore. C’è spesso qualcuno che le mette le mani addosso. Ma perché? Tempo fa una persona si è permessa di mettere il piede sulla leva d’avviamento per valutare se la moto aveva compressione. Non mi è piaciuto, l’ho trovato un atto di invadenza sul mezzo e violenza sul pedale. Secondo me vedendo una donna, qualcuno pensa di poter ispezionare la moto, sentendosi legittimato. O magari sono io che sono troppo gelosa. Mina non si tocca. Sono ammesse solo le carezze sul serbatoio e i grattini sotto il fanale.
I morinisti sono persone gentili ed educate, nessuno sfiora Mina. Sono così orgogliosi dei loro mezzi: le loro moto sono tutte brillanti dalla carrozzeria al motore.
Dopo pranzo, sono circondata da decine di motociclette accese, non riesco a sentire Mina durante l’avviamento. Sospetto sia ingolfata. Da sotto il carburatore scende della benzina. Forse le guarnizioni non tengono. Ma poi cosa ne capisco, fatto sta che non parte. C’è una breve discesa e un francese si offre di darmi una spinta. Ne approfitto. Nella discesa Mina si accende. Riparto per qualche metro e poi si spegne. Avevo lasciato i rubinetti chiusi. Avevo ricordato questo trucchetto per avviare la moto quando ingolfata, ma poi mi sono dimenticata di riaprirli. Sono proprio una principiante. Me ne accorgo quasi subito, ma dietro di me c’è una coda di moto ferme.

Il giro prosegue fino alla Distilleria Revel Chion. Mi accoglie il proprietario Sandro, che tra decina di moto fantastiche si avvicina al mio vecchio due ruote e mi riferisce che si ricorda delle Sertum. Suo padre e sua madre ne avevano una e quella marca fa parte della storia della famiglia. Mi racconta della zia di Ivrea, nata nel 1903. Un vero peperino. Era fidanzata con un meccanico, con cui si prendeva e si lasciava in continuazione, finché si sono sposati. La famiglia di lei aveva una buona disponibilità economica e quindi investì nell’officina. Il genero offriva il servizio di motonoleggio con conducente e aveva due posti nel sidecar. Dopo 3 anni la zia tornò a casa, ma la madre la prese per un orecchio dicendole che avevano messo dei soldi in quell’attività, e infatti la figlia da quel giorno non abbandonò più il marito. Lui era un buon venditore e lei una brava amministratrice. Quando Sandro andava a pranzo a casa loro, il marito si lamentava sempre di quello che aveva cucinato la moglie. Se faceva la carne impanata, la voleva alla griglia e viceversa. La sera stessa Sandro mi invia una mail dove mi dice che la mia motocicletta gli ha risvegliato “una valanga di ricordi”, allega foto e documenti di famiglia e aggiunge che non ha più nessuna traccia della Sertum, sottolineando “i miti sono meglio della realtà”. Nei cassetti degli Italiani ci sono momenti della nostra Storia che tutti dovrebbero conoscere.
Accanto il documento ARAR dello stesso anno della moto Guzzi 250 del futuro padre di Sandro.
Sandro non è l’unico incontro speciale a Chiaverano. Si avvicina un uomo, Antonio Ventura, lo stesso cognome del famoso pilota Sertum, Mario, ma non sono parenti. La sua storia mi sorprende con un aneddoto più unico che raro: quando sua madre era incinta di lui e stava partorendo, è stata portata in ospedale dal marito, quindi suo padre, in sella a una Sertum. Antonio ha uno sguardo brillante, è amante delle moto ed è anche lui emozionato di trovare così per caso una Sertum. Mi riprometto di andare presto a trovare Antonio e i genitori per sapere più dettagli della loro esperienza.

Il secondo giorno saluto i morinisti e parto con Mina in direzione Calestano, in provincia di Parma. Il tragitto è decisamente troppo lungo e decido di raggiungere Milano, dove c’è un caveau sicuro per Mina, dal mio amico Mario Longoni, uno dei più riforniti collezionisti della rivista Motociclismo dal 1914 a oggi. Il viaggio tra le risaie è una favola. I nuvoloni neri mi girano attorno ma non fanno cadere pioggia. Dopo Saronno mi perdo svariate volte, probabilmente perché non ho nessuna voglia di salutare Mina e tornare alla mia settimana lavorativa. Allontanarmi da Mina mi rattrista.

Il mio amore per lei mi annebbia, mi rende incapace di intendere e di volere. Anzi no, so bene cosa intendo e cosa voglio, solamente non è detto che sia comprensibile da chi non ama un oggetto, oltretutto così vecchio o di un’epoca che è difficile da immaginare. L’amore è cieco, si dice. Se così fosse non saprei dove sto andando. Invece Mina mi guida verso destinazioni ignote, a 40 km/h ed è tutto quello che desidero al mondo.
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