Sei Giorni Interregionale
Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e ritorno, per un totale di quasi 1.000 chilometri, ad una velocità massima di 40 km/h.
Quando ho raccontato della mia idea agli amici e ai conoscenti, alcuni sono rimasti indifferenti, altri sorpresi e altri ancora, i pochi appassionati di moto d’epoca che conosco, hanno sgranato gli occhi e non sapevano se ridere o se darmi della pazza.
Il mio meccanico Claudio ha detto: “Ma dove vuoi andare con quella caftera (caffettiera)? Al massimo arrivi dal rottamaio”. Scherzava, forse, ma le premesse non erano certo incoraggianti. Avevo deciso: volevo fare un viaggio di 6 giorni, in solitaria, con la mia Sertum 250 VL del 1950. Nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea, se la moto fosse arrivata funzionante al giorno della partenza.
Le persone che sono rimaste indifferenti alla mia idea sono coloro che non conoscono minimamente questo mondo. Chi è rimasto sorpreso sono stati gli amici, che non si sarebbero mai immaginati che una come me, che non ha mai dimostrato il ben che minimo interesse per le motociclette, figuriamoci d’epoca, potesse anche solo pensare di trascorrere le vacanze estive con una moto riesumata pochi anni prima. Gli appassionati di questi mezzi conoscono molto bene i rischi, anche troppo: pensavo che si possa rompere questo, quello, quell’altro e si possa rimanere a piedi in qualsiasi momento. In effetti, sono possibilità realistiche.
Quindi ero già partita anche solo con la mente. Desideravo tanto fare un salto nel passato, negli anni Cinquanta, in giro per l’Italia, tra le strade di campagna, fermarmi dove capitava e sentirmi a casa dai parenti lungo la strada. Ero una Don Chisciotte in gonnella, anzi, in sella, persa in un viaggio verso qualcosa che non esisteva, ma che era sul punto di esistere solo perché avevo cominciato a pensarci e a parlarne.
Avevo una missione: andare dal parmense in Piemonte, a trovare il mio amico Stefano Pracca e dei proprietari come me di Sertum, per raccontare le loro storie e far emergere un passato che non deve andare dimenticato, dove le moto d’epoca sono state un mezzo che ha trasportato emozioni di persone comuni, che hanno vissuto una vita semplice, in un contesto politico, economico e sociale che ci sembra lontanissimo eppure è così vicino a noi.
Per risultare credibile ai loro occhi dovevo presentarmi con la mia Sertum Mina, non avevo scelta. Così ho studiato il percorso e da un giorno all’altro ho deciso di partire.
Era la settimana prima di Ferragosto. Ovviamente ignoravo che fosse il periodo peggiore dell’anno per far viaggiare una moto d’epoca e dovevo sperare che Sant’Iligio, Santo dei Meccanici, non fosse in ferie pure lui.
Prima di partire
L’amico Armando, un giorno, mi ha chiesto se so cosa devo controllare prima di mettermi per strada. “La benzina” ho risposto. Si è messo a ridere, ma io dicevo sul serio. Sono rimasta a piedi due volte in un anno per la benzina. L’ultima volta ho spinto la moto al distributore e due uomini stavano dietro di me a piedi, senza dare cenno di vedermi. Mentre mettevo la moto sul cavalletto accanto alla pompa di benzina, uno di loro mi ha chiesto “Non va?” e io “No, senza benzina non va”. Poi lo stesso uomo ha iniziato a darmi consigli tecnici non richiesti e ha concluso il monologo dicendo che se fossi andata al mare sarebbe venuto con me. Gli ho risposto che stavo andando in collina e comunque non era invitato.
Ho comprato una giacca e una borsa da viaggio impermeabile da legare alla sella posteriore. Il mio amico Emanuele mi ha fatto notare che valgono di più i miei accessori che la moto. Audrey Hepburn disse: “Si dice che l’abito non faccia il monaco. Ma a me la moda ha dato spesso la sicurezza di cui avevo bisogno. Personalmente dipendo da Givenchy come le donne americane dipendono dal loro psichiatra.” Io dipendo da Mina, è lo spinterogeno delle mie emozioni.
Il mio amico Alberto si è raccomandato di portare un kit di sopravvivenza per Mina. Chiavi dall’8 al 16, cacciavite dritto e a stella, pinza, candele in abbondanza, filo della frizione, filo dell’acceleratore e strumenti che ancora non so a cosa servano. Poi l’olio, uno straccio e ho aggiunto le salviettine profumate per pulirmi le mani in caso di emergenza.
La notte prima della partenza ho dormito poco, sentivo un po’ di timore. Prima di ogni viaggio provo sempre un po’ di paura, credo sia normale, è forse una forma di prudenza, che tiene in allerta verso il “nuovo”. Ho ripensato a tutto quello che stavo portando e mi serviva. Qualche giorno prima mio padre mi ha chiamata per dirmi se non era meglio che facessi un giretto in giornata e rientrassi a casa a dormire. “Lo sai che quando mi metto in testa una cosa non cambio idea. E poi cosa vuoi che sia? Vado a Torino e torno” ho risposto. Ma pure a me sembrava di partire per la vetta del K2. Ero pronta.
Itinerario – 883 km
Giorno 1 – da Calestano (PR) a Bobbio (PC), passando dai centri storici di Salsomaggiore Terme, Castell’Arquato, Grazzano Visconti, la Val Nure e Val Trebbia. 153 km
Giorno 2 – da Bobbio a Cassano Spinola (AL), tra Varzi, San Sebastiano Curone, Tortona e pernottamento dalle mie cugine Valentina e Giuliana. 86 km
Giorno 3 – da Cassano a Montaldo Torinese, passando da Alessandria, Casale Monferrato e la Val Cerrina. 138 km
Giorno 4 – da Montaldo Torinese a Riva di Pinerolo e ritorno. 146 km
Giorno 5 – da Castiglione a Cassano. 151 km
Giorno 6 – da Cassano a Calestano. 209 km
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