Nuovo viaggio, nuovo esperimento.

Stavolta non c’è un programma, né una destinazione. Nessuna persona da incontrare. Voglio provare il massimo senso di libertà. Vivere alla giornata, tenere la mia scarsa velocità costante, decidere di deviare a qualsiasi incrocio, senza sapere dove posso arrivare con una moto del 1950.

Ho sempre creduto che una vita guidata dall’istinto possa essere liberatoria. Devo scoprirlo.
E’ il mio primo viaggio verso sud. Svalico la Cisa e sono già in Toscana, la regione perfetta per una moto d’epoca: le colline sono morbide, i borghi piccoli e caratteristici. Il paesaggio è un’incanto ovunque si volga lo sguardo. Sono già in paradiso.

Altopascio

A Pontremoli faccio una sosta e incontro un amico motociclista in giro con la moglie: Luca è appassionato di moto d’epoca e mi saluta con il sorriso. Entro in Garfagnana e le Apuane mi accompagnano fino a San Miniato, dove mi fermo la prima notte: Mina è nel cortile dentro le mura, la ammiro dalla piccola piscina con idromassaggio. Sono nel paradiso davvero.

Arrivo a San Geminiano, dove mi attende una sorpresa: c’è un sacco di gente, le macchine sono in coda lungo la strada che si avvicina al paese, mi trovo a muovermi a passo d’uomo, finché a un certo punto sento un rumore forte e costante. Proviene dalla Mina, ma non capisco bene da quale punto. Penso si stia rompendo qualcosa o peggio ancora, si sia già rotto e sia spacciata. Accosto e metto la moto sul cavalletto.

La moto si spegne da sola. Non è buon segno. Scendo, mi accuccio accanto al motore per osservo: cerco di capire cosa sia successo, ma non so dove e cosa guardare.

Sono quasi certa che qualcosa non stia funzionando come dovrebbe. Ripenso al rumore, che era davvero ruvido. Finché noto qualcosa di strano: un pezzo di ferro lungo, appoggiato sulla catena. “Ma cos’è?” mi chiedo. Chiamo il mio amico Chicco e dalla mia vaga descrizione risponde che è il paracatena che si è staccato. Mi dice di portarlo a casa, che lo salderemo. Gioisco, posso ripartire con un problema in meno!

Mina e il suo paracatena.

Incastro il ferro unto tra le cinghie esterne della borsa e scappo da quel traffico infernale.

Da Colle Val d’Elsa arrivo Monteriggioni, ma non voglio entrare nel borgo, Mina rimarrebbe fuori dalle mura e non voglio abbandonarla, non mi godrei il centro. Sulla strada mi fermo a prendere qualcosa di fresco al Ceppo, classico bar toscano, dove faccio conoscenza con Mario Volta. Mi racconta che è il Presidente di Motor Lab, un’associazione che si occupa di cercare fondi e installare in strada protezioni adeguate per i motociclisti. Ad oggi, sono presenti 632 metri e 12 curve. Per saperne di più: http://motorlab.it/

Dalla Val d’Elsa raggiungo Siena, dove mi infilo involontariamente in tangeziale. Un incubo. Mi tremano le gambe, non vedo l’ora di trovare la prima uscita per non avere il respiro dei tir dietro la marmitta.

Fa un caldo bestiale, ma nonostante questo decido di dedicarmi un po’ di relax in un bagno termale: faccio sosta a Bagno Vignone e ai Bagni di San Filippo. E’ agosto, in acqua tutti sudano, però non è così male.

Tra le colline senesi seguo le indicanzioni per Montalcino e mi trovo su una strada bianca. Mina arranca in salita, sono le ore più calde della giornata e non ho idea di dove finirò. Dopo poco vengo raggiunta da alcuni motociclisti che mi aspettano al primo incrocio. Hanno letto del mio viaggio in Piemonte e conoscono Mina! Insieme raggiungiamo Montalcino, prendiamo un aperitivo in centro e quando torno dalla mia moto sento una persona che mi dice “Tranquilla, controllo io Mina”. Ma chi è? Giorgio, un appassionato di moto d’epoca parmense che avevo conosciuto due settimane prima. Il mondo è proprio piccolo piccolo, è rassicurante per chi viaggia con una mezzo d’epoca.

Dalla mappa vedo che Pienza è dietro l’angolo. Il borgo è davvero incredibile, soprattutto al tramonto e la sera, quando i bambini giocano nella piazza semibuia ma assolutamente sicura. Ho una sensazione strana, è come se fossi distaccata da quella magia che mi aspetterei in un luogo del genere. Forse perché Mina non è proprio a due passi da me. L’ho parcheggiata fuori dal centro, al chiuso e al coperto, da un amico meccanico del proprietario del b&b. E mi rendo conto che questo problema lo sento tutte le volte che arrivo in un borgo toscano: il centro è chiuso al traffico e Mina deve stare fuori. Faccio fatica a staccarmi da lei, preferirei vederla in continuazione, rimpiermi gli occhi di lei ogni istante. Visitare un borgo, per quanto straordinario, non è così emozionante. Ogni volta non vedo l’ora di tornare da Mina. E arrivo al punto di non fermarmi più nei centri storici, ma superarli e continuare a guidare, fare curve, salire e scendere.

Mi rendo conto che ho il massimo della libertà: potrei andare dove voglio, ma non mi interessa nessun posto.
Non importa la destinazione, nemmeno il viaggio.
È il mio mezzo, Mina, la mia esperienza.

Ed è anche vero che troppa scelta manda in confusione, come quando devi scegliere lo spazzolino da denti davanti a decine di proposte e stai lì 10 minuti a guardare uno e l’altro senza capire cosa sia meglio. Mi succede lo stesso con i detersivi per la lavatrice. Mi sento smarrita.

A maggior ragione capisco che Mina è una grande fortuna. Lei è il passato e il futuro, ma soprattutto il presente. E’ piena di contraddizioni, non si finisce mai di amarla. E la guardo con gli occhi a forma di cuore, mentre lei mi permette di farle ciò che voglio.

La mia amica Livia è in casa dai genitori a Montevarchi. La raggiungo passando dal Chianti.

Mi infilo nelle strade dell’Eroica, per pentirmene dopo pochi chilometri, su salite impervie e ghiaiate: se rimango a piedi posso forse chiedere un passaggio a un cinghiale.
Ma “Eroica” fino in fondo, Mina non molla.

Nel frattempo sono in contatto con un sertumista toscano, conosciuto all’Asi Motoshow qualche mese prima. Propone di radunare un po’ di amici e di vederci per un giro. Ci troviamo a Poggibonsi. Torno quindi sulle strade già percorse e facciamo un giro bellissimo fino all’ora di pranzo. Mentre siamo seduti a tavola si parla di moto, con vista fantastica su San Geminiano. A un certo punto si scatena un acquazzone estivo: tutti ci preoccupiamo per le moto, ma quelle non fanno tante storie e ripartono tutte.

Per il ritono a casa vorrei fare i passi mitici dell’Emilia Romagna: Muraglione, Futa, Abetone e Radici.

Dopo aver passato la notattata in un convento medioevale, trasformato in abitazione a inizio Novecento da una coppia di artisti, lei toscana e lui cileno, mi fermo a far colazione a Bagno a Ripoli, dove incontro Marco Longinotti, appassionato di mezzi d’epoca e rivisitati, il suo debole sono i Maggioloni.

Sul Passo della Futa incontro nuovamente Mario Volta. Questo viaggio in Toscana è in tetris d’incontri.

Nelle stradine strette e isolate sull’Appennino sembra di stare fuori dal mondo. Finchè passo davanti tra due edifici di archeologia industriale molto affascinanti, nel centro di Campo Tizzoro. Davanti a un grande portone ci sono due moto d’epoca tutte arrugginite. Una tappa è d’obbligo.

Si tratta della S.M.I., un’importante azienda di produzione bellica del 1911, con rifugi antiaerei sotterranei della seconda guerra mondiale. Purtroppo il museo è chiuso.
Ma le sorprese non sono finite. Sulla strada giro un curvone e mi trovo davanti al Dynamo Camp. Ne ho sempre sentito parlare dalla mia amica Michela, che qui fa la volontaria e passa le sue vacanze. Dynamo Camp ospita gratuitamente per periodi di vacanza e svago bambini e ragazzi con patologie gravi e croniche, sia in terapia che in fase di post ospedalizzazione. Qui si dice che la cura è ridere e la medicina è l’allegria.

Il percorso è più veloce delle aspettative e mi trovo sull’Abetone. Una macchina mi sorpassa e suona il clacson: non ci credo, Luca e sua moglie, incontrati all’inizio del mio viaggio a Pontremoli!

Oramai sono sulla strada di casa, mio padre mi viene incontro a Castelnovo ne Monti. Qui spunta un Guzzi della Polizia: non mi fila, ci penso io a fare un interrogatorio al proprietario.

Viaggiare senza meta è stata una novità assoluta, non sapevo dove andare ma non avevo nemmeno voglia di tornare.

Cosa mi sono portata a casa? Una ricca galleria fotografica e che l’amicizia è sempre un motivo di grande gioia nella mia vita.


Itinerario – 1.095 km

Giorno 1 – Da Calestano (PR) a San Miniato (PI) – 223 km
Giorno 2 – Da San Miniato a Montalcino (SI) – 140 km
Giorno 3 – Da Montalcino a Pienza (SI) – 75 km
Giorno 4 – Da Pienza a Montevarchi (AR) – 142 km
Giorno 5 – Da Montevarchi a Greve in Chianti (FI) – 135 km
Giorno 6 – Da Greve in Chianti a Poretta Terme (BO) – 196 km
Giorno 7 – Da Poretta Terme a Calestano – 184 km